mercoledì, settembre 20, 2006

Fotomontaggio satanico

Oggi Dagospia pubblica alcune vignette e fotomontaggi sul Papa e il mondo islamico. Alcune sono francamente irrispettose e vanno deprecate. Altre però non sono così offensive e non vedo perché dovremmo scandalizzarcene come fanno alcuni. Marcopolo ne pubblica una che l'ha divertito.

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mercoledì, settembre 13, 2006

Osama è vivo e si sposta liberamente


Avvertite George W. Bush che il suo vecchio amico Osama Bin Laden è stato recentemente visto scorazzare liberamente per le strade pachistane. Non è uno scherzo, ma informazioni pubblicate in esclusiva da Asia Times Online, secondo le quali il capo di Al Qaidda si sarebbe recentemente trasferito dal Waziristan meridionale, nell'area tribale del paese guidato da Pervez Musharraf, all'Afghanistan orientale (province di Kunar e Nuristan, oppure a Bajour, una piccola agenzia tribale pachistana lungo la frontiera di Nordovest).

Lo sceicco avrebbe viaggiato in un grosso camio, non in convoglio, scortato da pochissime guardie. Secondo quanto scrive Atol, riportando informazioni provenienti da ambienti vicini ad al Qaida, Osama starebbe in buone condizioni di salute, essendosi ripreso da gravi problemi ai reni.

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lunedì, settembre 11, 2006

Mercenari a caccia di Osama (...e tornarono a mani vuote)



A volte viene da dire: ma vuoi vedere che davvero non lo vogliono acchiappare? Stiamo parlando ovviamente di Osama Bin Laden, il nemico pubblico numero 1, il capo di al Qaida. Già il sospetto era forte, considerando i pochi uomini che sono stati dislocati nelle montagne dell'Afghanistan (e di Tora Bora) a dargli la caccia. Ora scopriamo anche che la Cia è tanto poco interessata ad acciuffare lo sceicco, da non voler neanche mettere a rischio i propri operativi e preferisce mandare mercenari (oh, pardon, ora si chiamano "private contractor"). La rivelazione viene da un libro che sarà pubblicato tra poco: License to Kill del giornalista Usa Robert Young Pelton, di cui Intelligence Online ha dato un anticipo.

L'operazione sarebbe stata voluta dal vecchio capo del Centro antiterrorismo della Cia Joseph Cofer Black: 64 mercenari, ex componenti dei corpi speciali a stelle strisce, sono stati inviati in Afghanistan per intercettare e, magari, fare la pelle a Osama. A guidare il team il freschissimo Billy Waugh. 71 anni.

Inviati in tre province afgane (Gardez, Logar e Paktia) gli uomini d'oro a stelle e strisce, con il supporto di 300 combattenti afgani arruolati in loco, non hanno cavato un ragno dal buco. Quando si dice che il privato funziona meglio del pubblico...

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L'11 settembre e quello che è venuto dopo








Il mondo dopo l'11 settembre 2001. Cinque foto per rappresentare quello che è (e non che è stato) per tutti noi , per la nostra civiltà, l'11 settembre. La logica del conflitto di civiltà è smentita dall'assoluta solidarietà dei contendenti nella logica della morte, del sopruso, dell'abuso. Dall'attacco alle Torri gemelle (Foto 1), all'attacco in Iraq (Foto 2), dalle bombe di Londra (Foto 3), alle torture di Abu Ghraib (Foto 4), fino alla strage di Qana in Libano (Foto 5) il filo conduttore è uno solo: l'orrore.

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domenica, settembre 10, 2006

Torna Omar, se ne va al Sistani


In questi giorni di trionfalismi "libanesi" e di dibattiti un po' provinciali, da italietta incapace di valutare la portata degli eventi che si susseguono tra un'opposizione che dice "no" per ripiccuccie infantili e una maggioranza che si fa opposizione da sola, stanno avvenendo fatti di portata enorme nei due teatri di guerra che hanno visto e ci vedono impegnati direttamente: l'Afghanistan e l'Iraq.

Afghanistan

Le notizie di oggi parlano di un governatore provinciale ucciso da un kamikaze e di un'attacco della Nato nel sud del paese, costato la vita a un soldato dell'Alleanza atlantica e a 94 miliziani. Roba di tutti i giorni, si può dire, in quella che è una guerra guerreggiata mai conclusa veramente. Eppure è il contesto che sta prendendo contorni sconvolgenti.

L'Afghanistan sembrava una guerra ormai vinta: li ricordate i profeti entusiasti della Pax Neoconservatrice celebrare l'Afghanistan libero e democratico? Beh la guerra non solo non era ancora vinta, ma gli Stati Uniti e la Nato sembrano star facendo di tutto per perderla. Per esempio, hanno messo sul terreno solo 40 mila uomini. La Nato sta chiedendo ai paesi membri uno sforzo di altri 2.000-2.500 uomini, ma ci vorrebbe ben altro per controllare il territorio. In Iraq solo gli americani hanno 140mila soldati...

Sul terreno le cose si mettono male, anche perché il vecchio tutore dei talebani, il Pakistan, sta tornando alle vecchie posizioni pre-11 settembre. Il generale Pervez Musharraf non è mai stato così debole: puntellandosi ai partiti islamici, cerca di resistere agli attacchi che gli vengono da ambienti militari sempre più ostili e sempre più vogliosi di rimettere a Kabul qualche fantoccio manovrabile. Il tutto mentre le zone tribali al confine con l'Afghanistan, il Waziristan, restano al di fuori del controllo di Islamabad.

Il Pakistan ha di fatto siglato una tregua coi talebani. Secondo le notizie diffuse dall'intelligence Usa, il capo dei talebani, il misterioso mullah Omar, si nasconderebbe (ma mica tanto nascostamente...) proprio in quelle zone tribali pachistane. Islamabad avrebbe ormai rinunciato a dare la caccia a lui e agli uomini di al Qaida (tra cui forse Osama Bin Laden e Ayman al Zawahiri).

L'accordo, spiega in una corrispondenza per Asia Times Online il giornalista Syed Saleem Shahzad, prevederebbe anche la liberazione di una serie di uomini di primo piano di al Qaida e dei talebani, prigionieri in carceri pachistane. Tra questi Ghulam Mustafa, considerato il capo qaedista in Pakistan.

Da un punto di vista meramente militare questo accordo mette i talebani in condizioni di essere più tranquilli nei loro attacchi contro le forze della coalizione in Afghanistan. Shehzed sostiene che ormai i talebani hanno di fatto il controllo sulla gran parte dei settori sudoccidentali del paese, da dove presto Omar dovrebbe annunciare al mondo la rinascita dell'Emirato islamico d'Afghanistan (nome ufficiale del apese sotto i talebani). Dopodiche' dovrebbe iniziare, probabilmente la prossima primavera, la nuova avanzata verso Kabul.

La popolazione, se nella gran parte del paese continua a essere ostile ai talebani, comincia tuttavia preferirli agli occidentali. Il motivo è semplice: della ricostruzione promessa sono arrivate solo le briciole, mentre la fallimentare politica anti-narcotici ha tolto la sussistenza a molti contadini poveri. Secondo il think tank Senlis Council, siamo a una vera e propria crisi umanitaria. Attorno a città come Kandahar, un tempo roccaforte dei talebani, ci sono ormai accampamenti di disperati affamati. In questo contesto, rischia di passare un messaggio dei talebani: quando noi eravamo al potere eravate meno liberi, ma almeno non morivate di fame.

Iraq

Le cose non vanno affatto meglio in Iraq. Secondo le notizie che filtrano dal teatro, gli Stati Uniti avrebbero di nuovo perso il controllo reale (ma l'hanno mai avuto?) del cosiddetto "Triangolo sunnita", cioè di quell'area che comprende le città di Ramadi, Fallijah, Haditha. Si tratta dell'area in cui gli americani hanno perso circa 1.000 degli oltre 2.600 soldati persi in questa guerra. Questo nonostante abbiano di fatto raso al suolo Fallujah e disposto ingenti forze nella provincia. Peraltro, si tratta di una zona cruciale per i collegamenti: la provincia di al Anbar confina con Giordania, Siria e Arabia saudita e vi passa l'autostrada tra Amman e Baghdad. Lungo quest'arteria, diverse zone sono sotto il controllo dei ribelli, che attaccano liberamente i convogli americani.

I residenti sono sempre più arrabbiati con gli americani. Oltre al fatto che questa è zona sunnita, e i sunniti hanno molto da rimproverare agli statunitensi che hanno di fatto messo l'Iraq nelle mani di sciiti e curdi, c'è anche il fatto che, oltre alla distruzione di Fallujah, ora stanno radendo al suolo parte della città di Ramadi per rendere più agevole il controllo della sicurezza delle loro postazioni. E usano sempre il pugno pesante nei rastrellamenti.

La cosa più enorme, tuttavia, è accaduta da un punto di vista politico e sul fronte sciita. Lo ricordate il grande ayatollah Ali al Sistani? E' quel signore con la lunga barba bianca e il turbante nero, massima autorità religiosa del mondo sciita assieme agli altri due grandi ayatollah Ali Khamenei e Ali Akbar Montashemi, che nei due anni scorsi è stato il vero motore della politica irachena e ha permesso di sperare in una svolta democratica.

E' stato lui a imporre agli sciiti iracheni una collaborazione "onorevole" con le forze d'occupazione statunitensi, pur essendo contrario alla loro presenza. E' stato lui a bloccare ben due rivolte capeggiate dal più giovane, focoso e intraprendente Muqtada al Sadr. E' stato lui, ancora, a dire agli iracheni che andare a votare è "un dovere religioso". Addirittura a dire alle donne che, se i loro mariti avessero impedito loro di andare al voto, avevano il diritto di disubbidire. E' stato lui a coagulare le forze politiche sciite (da al Dawa allo Sciri) in un'alleanza che ha portato alla formazione del governo di Nour al Maliki.

Ebbene, questo grande religioso (nient'affatto moderato: cerchiamo di essere chiari!) dal passaporto iraniano e dall'accento persiano, pare che sia molto deluso dalla piega che ha preso la situazione. Nel paese si susseguono rapimenti, uccisioni (alcune mirate, altre meno), violenze tra sciiti e sunniti, ma anche tra milizie diverse sul fronte sciita. Nel rapporto col nuovo tutore del paese, l'Iran, nonostante l'immutata ed enorme deferenza etico-religiosa nei confronti di Sistani, sembra sempre più guadagnare punti al Sadr. Insomma, il disegno gradualistico del vecchio ayatollah sembra essere sfociato nel caos. Sistani ne ha preso atto e si è fatto da parte. "Non sarò più un leader politico. Sarò contento di ricevere richieste solo su questioni religiose", ha detto in questo weekend. "Non sono in grado - ha detto ancora - di fermare la guerra civile".

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sabato, settembre 09, 2006

Saddam alleato di Osama? Tutte balle!


Stava preparando la bomba atomica, aveva stretto un patto con Osama Bin Laden...Per mesi i cosiddetti esperti di geopolitica avevano ammorbato il circuito mediatico globale con disquisizioni dotte e dettagliate sulla pericolosità di Saddam Hussein, il macellaio di Baghdad. Lo scopo: creare agli Usa le condizioni per attaccare l'Iraq.

Erano tutte balle. Saddam era un tiranno sì, ma un tiranno come tanti altri, con alcuna possibilità di mettere a rischio la sicurezza globale, come l'amministrazione Bush e i suoi fan sparsi nei cinque continenti volevano farci credere.

A dirlo non è qualche network antimondialista, ma il Senato degli Stati Uniti d'America che ha pubblicato due rapporti sulle cause della guerra in Iraq. In questi documenti, si esclude che Saddam avesse stretto alleanze con i fondamentalisti islamici. Come a dire: l'attacco all'Iraq non c'entra un fico secco con la Guerra Globale al Terrorismo.

"Saddam Hussein - afferma una delle conclusioni del rapporto - non aveva alcuna fiducia in Al Qaida e considerava gli estremisti islamici come minacce al suo regime, rifiutando tutte le richieste di Al Qaida di aiuto materiale e operativo".

Stampiamocele in mente queste parole, in queste ore in cui settori neoconservatori Usa stanno imbastendo una campagna nella speranza (speriamo vana) di far scoppiare un'altra guerra, che sarebbe ben più sanguinosa, nei confronti dell'Iran.

I rapporti potete leggerli cliccando sulle seguenti link:

http://intelligence.senate.gov/phaseiiaccuracy.pdf
http://intelligence.senate.gov/phaseiiinc.pdf

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giovedì, giugno 08, 2006

Ucciso al Zarqawi in raid aereo Usa

Abu Musab al Zarqawi, l'uomo considerato capo di al Qaida in Iraq e responsabile di decine di attentati e delle decapitazioni di ostaggi, è stato ucciso. Lo ha affermato oggi il primo ministro iracheno Nouri al Maliki in una conferenza stampa, tra gli applausi.

Il terrorista giordano sarebbe stato ucciso in un raid aereo statunitense nella provincia di Diyala, 50 km a nord est di Baghdad. L'uccisione sarebbe avvenuta ieri sera. Assieme al leader terrorista, a cui gli americani imputano migliaia di morti, sono deceduti sette collaboratori.

La notizia della morte del terrorista giordano è stata confermata anche da un sito internet considerato vicino ad al Qaida, dove è stato pubblicato un comunicato di cui, tuttavia, non è stata ancora valutata l'autenticità.

Secondo quanto riferito da al Maliki, il raid è stato lanciato dopo che le forze di sicurezza irachene avevano ottenuto da informatori locali la notizia della presenza del decapitatore giordano in una casa identificata. Tuttavia, il ministro degli Esteri iracheno Hoshyar Zebari ha dichiarato all' Associated Press che fatale per il terrorista sarebbe stato l'ultimo video , la cui location sarebbe stata individuata.

Il comando militare statunitense afferma che il riconoscimento del cadavere è stato effettuato attraverso il rilevamento delle impronte digitali e verifica della somiglianza del volto. Dopo il raid che ha ucciso Zarqawi, secondo le forze Usa, sono stati condotti nella zona altri 17 attacchi aerei.

La famiglia del tagliagole ha dichiarato di "aver previsto da tempo che sarebbe diventato un martire in cielo". Dal canto suo la Nato ha detto che "di certo non ci mancherà".

Sulla testa del terrorista giordano pendeva una taglia di 25 milioni di dollari (20 milioni di euro), pari solo a quella del leader di al Qaida Osama Bin Laden.

La giornata sembra buona per il nuovo governo iracheno di al Maliki. Il premier ha anche annunciato la nomina, attesa da tempo, dei nuovi ministri della difesa, della sicurezza e degli interni. La nomina era stata bloccata da tempo per il "no" dei sunniti.

L'entusiasmo, tuttavia, è stato smorzato negli ultimi minuti per l'esplosione di un'autbomba in un mercato di Baghdad. Il bilancio, del tutto parziale, è di 13 morti e 28 feriti.

Link per saperne di più:

Wikipedia
Reuters Italia
Apcom
L'ultimo video del terrorista (L'Espresso)
Profilo di al Zarqawi (La Repubblica)

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mercoledì, giugno 07, 2006

Voli Cia, anche l'Italia tra gli accusati


C'è anche l'Italia. Il nostro paese è finito nella lista dei quattordici stati europei che hanno contribuito ai rapimenti e alle torture perpetrate dalle forze di sicurezza statunitensi contro persone sospettate di essere collegate ad al Qaida. Lo afferma il rapporto del Consiglio d'Europa presentato oggi a Parigi dal suo estensore, lo svizzero Dick Marty. Si può trovare un resoconto della notizia sul sito del Washington Post.

A finire nella lista infame sono stati, tra gli altri paesi, Svezia, Italia, Gran Bretagna, Turchia, Germania, Bosnia e Macedonia. Oltre a questi ci sono due paesi, la Polonia e la Romania, sui quali pendono accuse ancora più gravi: hanno ospitato prigioni segrete della Cia.

"E' ora chiaro che le autorità di diversi paesi europei hanno partecipato con la Cia a queste attività illegali. Alcuni altri paesi, pur sapendo, facevano finta di nulla. E altri ancora non volevano sapere", ha spiegato Marty.

L'investigatore svizzero è stato drastico. Per quanto Romania e Polonia continuino a negare, Marty sostiene di avere prove inoppugnabili (piani di volo, foto da satellite acquisite da agenzie europee ecc.) che dimostrano la fitta rete di voli della Cia, in cui venivano trasportati e spesso torturati prigionieri. Le due prigioni segrete erano a Szymany in Polonia e a Timisoara in Romania.

Il rapporto Marty verrà sottoposto il 27 giugno a Strasburgo al Consiglio d'Europa che, pur non avendo grandi poteri per emettere sanzioni, può dare una pesante condanna morale ai paesi coinvolti. E tra questi c'è il nostro. Marcopolo ringrazia anche di questo il governo Berlusconi.



Alcune link per saperne di più:

Rapporto Marty
Torture Abu Ghraib (Wikipedia)
Ansa
Ansa 2
Osservatorio sulla legalità
La Stampa
Amnesty International Italia
Amnesty 2
Corriere della Sera

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martedì, giugno 06, 2006

Diritti umani: gli Usa scelgono una bella compagnia


Ma sì, questa volta a George W., marcopolo glielo deve proprio dire: BRAVO!!! Come capo militare è una pippa, lo dimostra l'andamento della guerra in Iraq e di quella in Afghanistan. Come amministratore della cosa pubblica americana una schiappa. Ma almeno non è ipocrita.

Le torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib, il carcere di Guantanamo, le "extraordinary reddition" con gente rapita, torturata e poi lasciata nelle mani di regimi noti per il loro rapporto un po' conflittuale col concetto di diritti umani, dimostrano che gli Stati Uniti considerano ormai superate le Convenzioni di Ginevra. Anzi, cerchiamo di essere più chiari, le considerano carta straccia. Il texano, a questo punto, pare abbia deciso di porre la parola fine a questa pinzellacchera dei diritti umani e starebbe valutando l'idea di ritirare gli Usa dalle Convenzioni.

I fatti sono stati riportati ieri dal Los Angeles Times. Il Pentagono (contro l'opinione del Dipartimento di Stato) avrebbe intenzione, secondo il LA Times, di togliere dai manuali militari sulla detenzione dei prigionieri le regole che impediscono "il trattamento degradante e umiliante" all'Articolo 3. Si tratta di una formula esplicitamente sancita dalle Convenzioni di Ginevra.

Oggi contro l'ipotesi s'è scagliato anche il New York Times. Secondo il quotidiano, il punto non è che togliendo quel riferimento si autorizza la tortura, visto che il Congresso Usa ha bandito sua sponte la tortura lo scorso anno. Il problema è che "rimuovere le Convenzioni di Ginevra tra le regole dell'Esercito dà al mondo un maggior motivo di dubitare".

Solo un problema d'immagine? Ovviamente no, e anche il Nyt lo dice chiaramente. Le torture documentate ad Abu Ghraib, di fatto, vengono punite anche dagli americani. Ma c'è una fascia grigia che rende, per gli americani, opportuna la cancellazione delle convenzioni. Si tratta degli interrogatori nello stile di quelli di Guantanamo. Dall'intelligence americana sono considerati indispensabili. Ma, di certo, come scrive il Nyt, non si può dire che siano in linea con l'Articolo 3.

In un momento in cui i soldati a stelle e strisce sono sotto accusa per il massacro di Haditha, in Iraq, e per altri episodi (perche' non ricordare anche l'uccisione di Nicola Calipari?), una ricollocazione americana rispetto alla questione dei diritti umani appare opportuna. Bush lo sa e lo sta facendo. Mettendo gli Usa accanto a paesi come la Cina, la Libia, l'Iran e la Corea del Nord. Marcopolo spera che la compagnia risulti gradita.

Alcune link per saperne di più:

Convenzioni di Ginevra (Wikipedia)
Convenzioni di Ginevra (Testi)
Rapporto 2006 Amnesty International (Stati Uniti)
Internazionale
Cafe' Babel

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giovedì, giugno 01, 2006

Afghanistan, un generale accusa: americani hanno sparato sulla folla

Vabbe', abbiamo da condurre povere popolazioni oprresse sulla via luminosa della Democrazia. Vabbe', siamo lì per aiutarli, per liberarli dal giogo di regimi tirannici. Vabbe', il nostro impegno è di portarli sulla via della Libertà. E però sarebbe bene portarceli da vivi...

Abbiamo parlato del massacro di Haditha (Iraq), per il quale sono accusati soldati statunitensi. Oggi parliamo di un altro episodio che sta facendo discutere l'opinione pubblica mondiale. Il 29 maggio, lunedì, soldati a stelle e strisce hanno aperto il fuoco contro la folla, durante una manifestazione a Kabul, uccidendo quattro persone. Oggi il New York Times riporta le dichiarazioni di un alto ufficiale della polizia stradale afgana, il generale Amanullah Gozar, che puntano il dito contro i soldati americani.

Tutto nasce da un incidente stradale. Un camion dell'Esercito Usa si va a schiantare contro una station wagon in una strada nella parte settentrionale della capitale afgana. Quando il generale arriva sul luogo, vede i soldati impegnati nel soccorrere alcuni civili coinvolti nell'incidente, che ha provocato tre morti. Intanto, attorno, si comincia a creare una piccola folla di civili inferociti, alcuni cominciano a tirare pietre. "I primi veicoli americani che sono arrivati, sparavano in aria. L'ultimo, però, ha sparato contro la folla", dice Gozar. A quel punto i soldati sono scappati, lasciando sul terreno altri quattro civili morti.

Il generale ha fatto rapporto al presidente Hamid Karzai, puntando il dito contro l'arroganza, afferma lui, degli americani, che guidano non rispettando i requisiti minimi di sicurezza, non permettono alle altre auto di superarli. Tutto questo sta esasperando gli afgani, a detta del generale. Inoltre, accusa ancora Gozar, i soldati hanno impedito alla gente di andare a soccorrere i feriti nell'incidente in questione.

Gli americani affermano che a sparare non sono stati loro per primi, ma che hanno risposto al fuoco. Di certo Gozar è un testimone credibile. Era lì perche' ha la casa che dà proprio su quella strada. E' un potwente comandante dell'Alleanza del Nord, non ha accettato le lusinghe delle fazioni anti-americane in passato ed è rimasto un fedelissimo del presidente Hamid Karzai, alleato degli occidentali. Anzi, ha più volte criticato la mollezza della polizia afgana nel reprimere le manifestazioni violente.

L'episodio è l'ennesima riprova di una situazione d'instabilità estrema in un paese che dalla guerra non è ancora uscito. Basta un incidente stradale per far salire la tensione e creare una carneficina. Da lunedì, tra l'altro, si asono susseguite una serie di manifestazioni anti-americane, in cui ci sono stati 12 morti e 380 feriti...tutto questo mentre i talebani continuano la loro campagna di primavera e nel sud del paese si susseguono attacchi.

Alcune link per saperne di più:

Agence France Presse
Associated Press
Npr
Sidney Morning Herald
Associated Press 2

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martedì, maggio 30, 2006

Massacro di Haditha, un'altra My Lai...


Della storia se n'è parlato a lungo. Un convoglio militare americano viene attaccato con la solita bomba rudimentale in Iraq. I soldati perdono la testa, sparano contro un taxi, uccidendo quattro studenti universitari disarmati, poi si buttano su due case e annientano due gruppi familiari di civili inermi, senza troppo riguardo per donne, vecchi, bambini.

Sulla vicenda sono state aperte due inchieste in America contro i marines che facevano parte del commando. Molti paragonano questo episodio al massacro del villaggio di My Lai in Vietnam durante la guerra persa dai soldati a stelle e strisce.

Sul massacro di Haditha del 19 novembre scorso le testimonianza sono molte. L'Msnbc e Newsweek ne riportano alcune particolarmente vivide, che non vengono dall'Iraq, ma proprio dai familiari di due marines americani.

I due giovani solfati statunitensi, caporalmaggiore Andrew Wright (20 anni) e caporal maggiore Roel Ryan Briones (21 anni), sono rimasti traumatizzati, secondo quanto raccontano i loro familiari, quando sono stati costretti ad andare a fotografare i corpi delle vittime. I corpi che i due hanno visto, ha raccontato all' Associated Press la madre di Briones, Susie, hanno visto 23 cadaveri.

"E' stato orribile, una scena terribile", ha detto Susie in lacrime nell'intervista ad Ap. La macchina fotografica di Briones è stata sequestrata dagli investigatori della Marina Usa. Anche Frederick Wright, il padre dell'altro marine, ha confermato che il figlio è sotto shock.

Sul massacro di haditha al momento non c'è molta chiarezza. La dinamica descritta sopra è stata prima raccontata da John Murtha, un rappresentante democratico ex marine e decorato di guerra, e poi confermato da testimoni sul luogo. Dapprincipio, i vertici militari avevano affermato che c'erano stati 15 civili iracheni uccisi per una bomba e uno scontro a fuoco con otto ribelli morti e un marine ucciso. Invece, secondo altre testimonianze, che il marine sia morto per la bomba e poi i suoi compagni hanno perso la testa e fatto un massacro di civili.

Il generale Peter Pace, portavoce dello Stato maggiore della Difesa Usa ha ammeso che i suopi soldati possono non "aver fatto il loro dovere come fa il 99,9 per cento dei marines"". Certo, però, che questo 0,1 per cento di danni ne fa...

Susie Briones, la mamma del marine traumatizzato, ha spiegato che il figlio ha visto tta l'altro una bambinetta uccisa con un colpo alla testa. "Ha dovuto portar via il corpo di quella bimba: aveva la testa scoppiata e le sue cervella si sono sparse sugli anfibi di mio figlio".


Alcune link per saperne di più:

In Italiano

L'Unità
EuroNews
La Repubblica
PeaceReporter

Inglese - English

USAToday
ABC News
New York Times
Sidney Morning Herald
Gulf News (Emirati ArabiUniti)

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lunedì, maggio 29, 2006

L'Iran non ha paura delle sanzioni


In uno dei commenti è stato chiesto a marcopolo un aggiornamento su quanto sta accadendo attorno all'Iran. L'invito è arrivato in un momento opportuno, visto che proprio questa settimana (giovedì) ci sarà la riunione 5+1 ( i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite - Usa, Russia, Gran Bretagnia, Francia e Cina - e la Germania) per discutere il testo di un'eventuale risoluzione unitaria che delinei come procedere nei confronti di Teheran.

Il vertice di giovedì riprenderà i temi di quello condotto nella scorsa settimana a Londra. L'ipotesi è che la bozza di risoluzione, che dovrà poi essere portata al Consiglio di sicurezza, includa l'ipotesi di sanzioni se l'Iran non rispetterà la volontà della comunità internazionale di veder fermate le attività di arricchimento dell'uranio, che potrebbero portare alla costruzione di bombe atomiche. Dall'altro lato, la risoluzione potrebbe comprendenre anche incentivi a rispettare le indicazioni del Consiglio di sicurezza.

Secondo il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni, che oggi era in Turchia, l'Iran è in grado di costruire armi nucleari in pocnhi anni, quindi la comunità internazionale deve intervenire immediatamente con sanzioni economiche.

E Teheran? Il regime degli ayatollah, sempre oggi, s'è fatto sentire. Il messaggio è univoco: l'arricchimento dell'uranio non si ferma. "Tutte le informazioni secondo cui l'Iran rinuncerà ad arricchire l'uranio nel proprio paese per spostare questa attività in Russia non sono accurate", ha detto il portavoce del governo iraniano Gholam Elham. Si va verso il muro contro muro?

Alcune link collegate alla notizia:

Associated Press
France Presse
Reuters
International Herald Tribune
TicinoOnLine (in italiano)
SwissInfo (in italiano)

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lunedì, maggio 22, 2006

La nuova Comiso sarà in Europa dell'Est


Rischiamo di tornare ai vecchi temi di Comiso e degli Euromissili? Parrebbe proprio di sì, vista l'ultima mossa che l'Amministrazione Bush si appresta a fare: installare in Europa intercettori anti-missile per integrare lo scudo di difesa missilistica in chiave anti-iraniana.

La notizia è stata diffusa oggi dal New York Times. Washington ha proposto a due paesi dell'Europa centrorientale, la Polonia e la Repubblica ceca, di dislocare 10 intercettori antimissile in una base entro il 2011. Gli americani pensano di porre gli intercettori in una posizione il più vicina possibile alla traiettoria che percorrerebbero eventuali missili di lunga gittata iraniani, se lanciati contro l'Europa e, lungo la rotta polare, contro gli Stati Uniti.

La decisione sul sito europeo dovrebbe essere presa entro l'estate. Nell'ambito di questo progetto c'è anche il rafforzamento del complesso radar nella base britannica di Fylindales e nella base Usa Thule in Groenlandia.

Cosa sono gli intercettori antimissile? Si tratta di razzi su cui sono montati veicoli esplosivi da 57,8 kg progettati per cacciare e colpire, esplodendo, missili nemici. Il sistema, ancora in fase di test, è già presente a Fort Greely, in Alaska, con nove intercettori, e alla Vandenberg Air Force Base in California. Ma entrambi questi siti sono studiati per eventuali attacchi dalla Corea del Nord, non dall'Iran.

L'idea degli americani pone problemi non da poco. Vediamone alcuni:


  1. Problema economico. Il progetto nasce dalla vecchia idea reaganiana dello "Scudo Stellare" che tanti soldi ha succhiato al bilancio pubblico americano a favore della grande industria bellica. Il Pentagono, per il nuovo sito europeo, ha già chiesto 56 milioni di dollari al Congresso. Il Comitato ha detto per il momento no a questo finanziamento che sarebbe solo la prima tranche di una spesa dio 1,6 miliardi di dollari. Bisogna tener presente che per lo scudo missilistico nel 2007 il Pentagono chiede 9,3 miliardi di dollari. Che non sono affatto poco.
  2. La questione economica è collegata a quella dell'efficacia. Sono molti gli osservatori che criticano con forza il progetto alla luce dei magri risultati dei test condotti recentemente. "Sono quattro anni che non hanno successo nei test d'intercettazione", lamenta Philip Coyle, ex capo dell'Ufficio valutazione dei test del Pentagono. La Difesa Usa, dal canto suo, si difende con la voce del tenente generale Henry A. Obering III, capo dell'Agenzia missilistica: i fallimenti non sono stati tali da mettere in soffitta il progetto.
  3. Ma davvero serve una difesa missilistica dall'Iran? Partiamo da un assunto: Teheran al momento non è in possesso di missili intercontinentali. Ammesso che il programma nucleare bellico iraniano sia sul punto di produrre una bomba atomica (ma per lo più si pensa che è a quattro cinque anni) e ammesso che inizi a sviluppare un progetto per un lancio spaziale ora, ci vorrebbe oltre un decennio per avere il know-how per minacciare gli Usa. Dalla parte della Difesa Usa, tuttavia, si sottolinea che i missili Scud in possesso di Teheran, lanciati nella guerra contro l'Iraq, erano basati sulla tecnologia nordcoreana dei missili Nodong. Anche il missile Shahab-3 è basato sul progetto del nordcoreano Nodong e può colpire Israele e Turchia. Ora, dal momento che i nordcoreani hanno velocizzato la loro ricerca (missili Taepodong 1 e Taepodong 2), non è detto che dalla sinergia di questi due componenti del cosiddetto "Asse del Male" non esca qualcosa di più potente. Certo: oltre alla tecnologia per fare i missili, poi serve quella per miniaturizzare le bombe atomiche che poi devono andare su testate nucleari. E questa tecnologia, a quanto se ne sa, Pyongyang non ce l'ha.
  4. L'ultima variabile si chiama Russia. Da tempo Mosca accusa gli Stati Uniti di star cercando di rendere suoi avamposti avanzati gli ex paesi del Blocco di Varsavia. La cooperazione militare tra Usa e paesi dell'Europa orientale è sempre più stretta. La forte partecipazione della Polonia alla coalizione in Iraq, l'utilizzo di Ungheria, Polonia e Repubblica ceca nella preparazione alla guerra in Iraq come paesi addestratori degli oppositori di Saddam, l'utilizzo di basi in Polonia e Romania come prigioni per i sospetti jihadisti (ma questo il Nyt non lo scrive), ne sono una prova ulteriore. E' chiaro che tutto ciò a Mosca non piace, per quanto gli americani cerchino di rassicurarli. Il ministro della Difesa russa Sergei Ivanov è stato chiaro: la dislocazione del sistema antimissile in Polonia avrebbe "un impatto negativo su tutto il sistema di sicurezza euro-atlantico". E il capo di Stato maggiore russo generale Yuri Baluyevsky non è stato più leggero, rispondendo a una domanda a dicembre del quotidiano Gazeta Wyborcza, ha detto: "Andate avanti e costruite questo scudo. Dovete pensarci voi. Io non prevedo un conflitto nucleare tra la Russia e l'Occidente. Non abbiamo un progetto del genere. Tuttavia, è comprensibile che i paesi che entrano a far parte di questo scudo aumentano il loro rischio".

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mercoledì, aprile 19, 2006

La strategia Usa: attenti al pericolo giallo!




MarcoPolo ha con la Cina, come ben sapete, un rapporto particolare. E alle questioni che riguardano la nuova grande potenza che sta emergendo in Asia orientale ci sta particolarmente attenta. Da ieri il leader di questo enorme paese, Hu Jintao, è in visita negli Stati Uniti. E' una visita cruciale per l'uomo forte di Pechino: dai rapporti con Washington deriva la stabilità, statene certi, del mondo intero.

Ma cosa trova dall'altra parte l'uomo di Pechino? "Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale...che ponga una minaccia della grandezza di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica", afferma un documento fondamentale della dottrina strategica statunitense: il Defense Planning Guidance degli anni 1994-1999, primo documento che sancisce gli obiettivi americani dell'era post-sovietica. "Dobbiamo fare in modo - continua il documento - d'impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione con risorse il cui controllo consolidato sia sufficiare a creare un potere globale".

Il documento, redatto sotto la presidenza di George Bush senior, filtrò quando era ancora in fase di bozza. L'opposizione degli alleati degli americani costrinse Washington a metterlo da parte finche', con l'arrivo alla presidenza di Bush figlio, nel febbraio 2001, non ritornò alla vita.

Quando fu redatto, in verità, il nome dell'eventuale rivale era in bianco. Poteva essere la Russia, come la Germania, come l'India o il Giappone. E, ovviamente, poteva essere la Cina. Alla fine, effettivamente, pare che il rivale straegico degli Usa sarà Pechino e, nei suoi confronti, è presumibile che la strategia americana sia quella del "contenimento". A spiegarlo sono stati in questi anni alcuni dei principali collaboratori di Bush, dall'attuale segretario di stato Condoleezza Rice all'esperto di antiterrorismo della Casa Bianca Richard Clarke.

Le vicissitudini della guerra al terrorismo e della guerra in Iraq sembavano aver distratto l'America dall'obiettivo cinese. Ma non è mai stato così e ci sono analisti che vedono nei conflitti in corso un episodio di un confronto di lungo corso proprio tra Washington e Pechino per accaparrarsi le risorse.

Di certo sta che dalla primavera del 2005 gli americani hanno ripreso a battere sul tasto cinese. Il segretario alla Difesa Donald H. Rumsfeld, per esempio, ha lanciato l'allarme sul fatto che la Cina sta rafforzando fortemente il suo apparato di difesa. Pechino non ha fatto molto per smentirlo, fino a effettuare una serie di manovre congiunte con i russi, che mai al tempo dell'Urss erano stati così benevoli con i fratelli comunisti cinesi. Certo, potrà obiettare qualcuno: ma gli investimenti per la difesa di Pechino, per quanto in crescita forte, non sono che una frazione di quelli di Washington.

L'antifona è comunque chiara: Pechino sta agendo per diventare potenza regionale egemone. E questo va contro la dottrina strategica Usa. Washington ha cominciato a muovere le sue pedine. A febbraio 2005 ha firmato con il Giappone una "Dichiarazione congiunta Usa-Giappone per un comitato consultivo sulla sicurezza". In questa dichiarazione si poneva soprattutto la questione di Taiwan, che Pechino considera provincia ribelle, e che Tokyo e Washington considerano loro interesse primario. Contemporaneamente, giova dirlo, gli Usa hanno agito politicamente su Taipei perche' eviti colpi di testa, come una dichiarazione formale d'indipendenza da Pechino.

La Cina, intanto, non è stata a guardare e ha rafforzato la sua posizione in Asia sudorientale (area Asean) e in Asia centrale (Cooperazione di Shanghai), cruciale per gli equilibri geopolitici americani. L'America è in affanno nel tentare di contenere l'influenza cinese in queste regioni e sarà cruciale il ruolo che riuscirà a svolgervi il Giappone. Non è un caso che Tokyo e Washington abbiano anche accelerato il processo d'integrazione delle loro forze armate in chiave di "interoperabilità". Il Giappone, tra l'altro, ha ottenuto la protezione dell'ombrello missilistico americano. Altro alleato chiave nella regione è l'Australia, che in questa maniera gode di una posizione incisiva da un punto di vista geopolitico. E come non sottolineare l'enorme riavvicinameto degli Usa con l'India, sancito dalla visita in America del primo ministro indiano Manmohan Singh, che ha di fatto sdoganato la potenza nucleare indiana alla faccia del principio di non proliferazione? La strategia, insomma, è quella di creare un network di paesi accomunati dalla preoccupazione nei confronti di Pechino.

La strategia di contenimento è stata inoltre sancita ulteriormente dal Quadriennal Defense Review, prodotto dal Pentagono il 5 febbraio scorso, che ha sancito le priorità strategiche per i prossimi quattro anni, riprendendo il documento del '92 di cui si parlava. Gli Usa, spiega, "tenteranno di dissuadere ogni concorrente militare dallo sviluppare capacità distruttive o altre capcità che possano portare a un'egemonia regionale o ad azioni ostili nei confronti degli Usa". Ma questa volta il documento è pià esplicito: "Tra le potenze maggiori ed emergenti, la Cina ha il più grande potenziale di competere militaremente con gli Stati Uniti e tecnologie militari che possono eliminare il tradizionale vantaggio Usa". Musica per le orecchie dell'industria militare a stelle e striscie.

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giovedì, marzo 23, 2006

Granelli di realtà


Le forze statunitensi continuano a ripetere che in Iraq le cose migliorano. E, invece, le cose non stanno così. Oggi, 23 marzo 2006, a tre anni dall'inizio della guerra, almeno 56 persone sono morte o sono state trovate uccise in esecuzioni, bombe e scontri a fuoco. Non male per un paese ormai "pacificato".

Anche Francis Fukuyama, lo ricordate? era il teorico della "fine della storia", ha abbandonato il campo neo-con negli Stati Uniti. La vittoria di Hamas in Palestina, l'affermazione dei Fratelli musulmani in Egitto, la montante ondata islamista in tutto il Medio Oriente stanno dimostrando che era la democratizzazione sulla punta del fucile non funziona. Ma non perche' sia brutta la democrazia. Semplicemente perche' nelle cose del mondo non ci sono automatismi che possono essere applicati così facilmente. La realtà fugge via dalle mani, incontrollabile, sottile come sabbia del deserto.

MarcoPolo vuole raccontare questi granelli di realtà. Senza l'ambizione di parlare di tutto, senza la certezza di avere Verità in tasca. Ma partendo, questo sì, dai fatti.

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