giovedì, maggio 10, 2007

Vita a Baghdad

Quattro anni dalla "liberazione" americana di Baghdad ed ecco come si vive nella capitale irachena.

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domenica, settembre 10, 2006

Torna Omar, se ne va al Sistani


In questi giorni di trionfalismi "libanesi" e di dibattiti un po' provinciali, da italietta incapace di valutare la portata degli eventi che si susseguono tra un'opposizione che dice "no" per ripiccuccie infantili e una maggioranza che si fa opposizione da sola, stanno avvenendo fatti di portata enorme nei due teatri di guerra che hanno visto e ci vedono impegnati direttamente: l'Afghanistan e l'Iraq.

Afghanistan

Le notizie di oggi parlano di un governatore provinciale ucciso da un kamikaze e di un'attacco della Nato nel sud del paese, costato la vita a un soldato dell'Alleanza atlantica e a 94 miliziani. Roba di tutti i giorni, si può dire, in quella che è una guerra guerreggiata mai conclusa veramente. Eppure è il contesto che sta prendendo contorni sconvolgenti.

L'Afghanistan sembrava una guerra ormai vinta: li ricordate i profeti entusiasti della Pax Neoconservatrice celebrare l'Afghanistan libero e democratico? Beh la guerra non solo non era ancora vinta, ma gli Stati Uniti e la Nato sembrano star facendo di tutto per perderla. Per esempio, hanno messo sul terreno solo 40 mila uomini. La Nato sta chiedendo ai paesi membri uno sforzo di altri 2.000-2.500 uomini, ma ci vorrebbe ben altro per controllare il territorio. In Iraq solo gli americani hanno 140mila soldati...

Sul terreno le cose si mettono male, anche perché il vecchio tutore dei talebani, il Pakistan, sta tornando alle vecchie posizioni pre-11 settembre. Il generale Pervez Musharraf non è mai stato così debole: puntellandosi ai partiti islamici, cerca di resistere agli attacchi che gli vengono da ambienti militari sempre più ostili e sempre più vogliosi di rimettere a Kabul qualche fantoccio manovrabile. Il tutto mentre le zone tribali al confine con l'Afghanistan, il Waziristan, restano al di fuori del controllo di Islamabad.

Il Pakistan ha di fatto siglato una tregua coi talebani. Secondo le notizie diffuse dall'intelligence Usa, il capo dei talebani, il misterioso mullah Omar, si nasconderebbe (ma mica tanto nascostamente...) proprio in quelle zone tribali pachistane. Islamabad avrebbe ormai rinunciato a dare la caccia a lui e agli uomini di al Qaida (tra cui forse Osama Bin Laden e Ayman al Zawahiri).

L'accordo, spiega in una corrispondenza per Asia Times Online il giornalista Syed Saleem Shahzad, prevederebbe anche la liberazione di una serie di uomini di primo piano di al Qaida e dei talebani, prigionieri in carceri pachistane. Tra questi Ghulam Mustafa, considerato il capo qaedista in Pakistan.

Da un punto di vista meramente militare questo accordo mette i talebani in condizioni di essere più tranquilli nei loro attacchi contro le forze della coalizione in Afghanistan. Shehzed sostiene che ormai i talebani hanno di fatto il controllo sulla gran parte dei settori sudoccidentali del paese, da dove presto Omar dovrebbe annunciare al mondo la rinascita dell'Emirato islamico d'Afghanistan (nome ufficiale del apese sotto i talebani). Dopodiche' dovrebbe iniziare, probabilmente la prossima primavera, la nuova avanzata verso Kabul.

La popolazione, se nella gran parte del paese continua a essere ostile ai talebani, comincia tuttavia preferirli agli occidentali. Il motivo è semplice: della ricostruzione promessa sono arrivate solo le briciole, mentre la fallimentare politica anti-narcotici ha tolto la sussistenza a molti contadini poveri. Secondo il think tank Senlis Council, siamo a una vera e propria crisi umanitaria. Attorno a città come Kandahar, un tempo roccaforte dei talebani, ci sono ormai accampamenti di disperati affamati. In questo contesto, rischia di passare un messaggio dei talebani: quando noi eravamo al potere eravate meno liberi, ma almeno non morivate di fame.

Iraq

Le cose non vanno affatto meglio in Iraq. Secondo le notizie che filtrano dal teatro, gli Stati Uniti avrebbero di nuovo perso il controllo reale (ma l'hanno mai avuto?) del cosiddetto "Triangolo sunnita", cioè di quell'area che comprende le città di Ramadi, Fallijah, Haditha. Si tratta dell'area in cui gli americani hanno perso circa 1.000 degli oltre 2.600 soldati persi in questa guerra. Questo nonostante abbiano di fatto raso al suolo Fallujah e disposto ingenti forze nella provincia. Peraltro, si tratta di una zona cruciale per i collegamenti: la provincia di al Anbar confina con Giordania, Siria e Arabia saudita e vi passa l'autostrada tra Amman e Baghdad. Lungo quest'arteria, diverse zone sono sotto il controllo dei ribelli, che attaccano liberamente i convogli americani.

I residenti sono sempre più arrabbiati con gli americani. Oltre al fatto che questa è zona sunnita, e i sunniti hanno molto da rimproverare agli statunitensi che hanno di fatto messo l'Iraq nelle mani di sciiti e curdi, c'è anche il fatto che, oltre alla distruzione di Fallujah, ora stanno radendo al suolo parte della città di Ramadi per rendere più agevole il controllo della sicurezza delle loro postazioni. E usano sempre il pugno pesante nei rastrellamenti.

La cosa più enorme, tuttavia, è accaduta da un punto di vista politico e sul fronte sciita. Lo ricordate il grande ayatollah Ali al Sistani? E' quel signore con la lunga barba bianca e il turbante nero, massima autorità religiosa del mondo sciita assieme agli altri due grandi ayatollah Ali Khamenei e Ali Akbar Montashemi, che nei due anni scorsi è stato il vero motore della politica irachena e ha permesso di sperare in una svolta democratica.

E' stato lui a imporre agli sciiti iracheni una collaborazione "onorevole" con le forze d'occupazione statunitensi, pur essendo contrario alla loro presenza. E' stato lui a bloccare ben due rivolte capeggiate dal più giovane, focoso e intraprendente Muqtada al Sadr. E' stato lui, ancora, a dire agli iracheni che andare a votare è "un dovere religioso". Addirittura a dire alle donne che, se i loro mariti avessero impedito loro di andare al voto, avevano il diritto di disubbidire. E' stato lui a coagulare le forze politiche sciite (da al Dawa allo Sciri) in un'alleanza che ha portato alla formazione del governo di Nour al Maliki.

Ebbene, questo grande religioso (nient'affatto moderato: cerchiamo di essere chiari!) dal passaporto iraniano e dall'accento persiano, pare che sia molto deluso dalla piega che ha preso la situazione. Nel paese si susseguono rapimenti, uccisioni (alcune mirate, altre meno), violenze tra sciiti e sunniti, ma anche tra milizie diverse sul fronte sciita. Nel rapporto col nuovo tutore del paese, l'Iran, nonostante l'immutata ed enorme deferenza etico-religiosa nei confronti di Sistani, sembra sempre più guadagnare punti al Sadr. Insomma, il disegno gradualistico del vecchio ayatollah sembra essere sfociato nel caos. Sistani ne ha preso atto e si è fatto da parte. "Non sarò più un leader politico. Sarò contento di ricevere richieste solo su questioni religiose", ha detto in questo weekend. "Non sono in grado - ha detto ancora - di fermare la guerra civile".

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sabato, settembre 09, 2006

Saddam alleato di Osama? Tutte balle!


Stava preparando la bomba atomica, aveva stretto un patto con Osama Bin Laden...Per mesi i cosiddetti esperti di geopolitica avevano ammorbato il circuito mediatico globale con disquisizioni dotte e dettagliate sulla pericolosità di Saddam Hussein, il macellaio di Baghdad. Lo scopo: creare agli Usa le condizioni per attaccare l'Iraq.

Erano tutte balle. Saddam era un tiranno sì, ma un tiranno come tanti altri, con alcuna possibilità di mettere a rischio la sicurezza globale, come l'amministrazione Bush e i suoi fan sparsi nei cinque continenti volevano farci credere.

A dirlo non è qualche network antimondialista, ma il Senato degli Stati Uniti d'America che ha pubblicato due rapporti sulle cause della guerra in Iraq. In questi documenti, si esclude che Saddam avesse stretto alleanze con i fondamentalisti islamici. Come a dire: l'attacco all'Iraq non c'entra un fico secco con la Guerra Globale al Terrorismo.

"Saddam Hussein - afferma una delle conclusioni del rapporto - non aveva alcuna fiducia in Al Qaida e considerava gli estremisti islamici come minacce al suo regime, rifiutando tutte le richieste di Al Qaida di aiuto materiale e operativo".

Stampiamocele in mente queste parole, in queste ore in cui settori neoconservatori Usa stanno imbastendo una campagna nella speranza (speriamo vana) di far scoppiare un'altra guerra, che sarebbe ben più sanguinosa, nei confronti dell'Iran.

I rapporti potete leggerli cliccando sulle seguenti link:

http://intelligence.senate.gov/phaseiiaccuracy.pdf
http://intelligence.senate.gov/phaseiiinc.pdf

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giovedì, giugno 08, 2006

Ucciso al Zarqawi in raid aereo Usa

Abu Musab al Zarqawi, l'uomo considerato capo di al Qaida in Iraq e responsabile di decine di attentati e delle decapitazioni di ostaggi, è stato ucciso. Lo ha affermato oggi il primo ministro iracheno Nouri al Maliki in una conferenza stampa, tra gli applausi.

Il terrorista giordano sarebbe stato ucciso in un raid aereo statunitense nella provincia di Diyala, 50 km a nord est di Baghdad. L'uccisione sarebbe avvenuta ieri sera. Assieme al leader terrorista, a cui gli americani imputano migliaia di morti, sono deceduti sette collaboratori.

La notizia della morte del terrorista giordano è stata confermata anche da un sito internet considerato vicino ad al Qaida, dove è stato pubblicato un comunicato di cui, tuttavia, non è stata ancora valutata l'autenticità.

Secondo quanto riferito da al Maliki, il raid è stato lanciato dopo che le forze di sicurezza irachene avevano ottenuto da informatori locali la notizia della presenza del decapitatore giordano in una casa identificata. Tuttavia, il ministro degli Esteri iracheno Hoshyar Zebari ha dichiarato all' Associated Press che fatale per il terrorista sarebbe stato l'ultimo video , la cui location sarebbe stata individuata.

Il comando militare statunitense afferma che il riconoscimento del cadavere è stato effettuato attraverso il rilevamento delle impronte digitali e verifica della somiglianza del volto. Dopo il raid che ha ucciso Zarqawi, secondo le forze Usa, sono stati condotti nella zona altri 17 attacchi aerei.

La famiglia del tagliagole ha dichiarato di "aver previsto da tempo che sarebbe diventato un martire in cielo". Dal canto suo la Nato ha detto che "di certo non ci mancherà".

Sulla testa del terrorista giordano pendeva una taglia di 25 milioni di dollari (20 milioni di euro), pari solo a quella del leader di al Qaida Osama Bin Laden.

La giornata sembra buona per il nuovo governo iracheno di al Maliki. Il premier ha anche annunciato la nomina, attesa da tempo, dei nuovi ministri della difesa, della sicurezza e degli interni. La nomina era stata bloccata da tempo per il "no" dei sunniti.

L'entusiasmo, tuttavia, è stato smorzato negli ultimi minuti per l'esplosione di un'autbomba in un mercato di Baghdad. Il bilancio, del tutto parziale, è di 13 morti e 28 feriti.

Link per saperne di più:

Wikipedia
Reuters Italia
Apcom
L'ultimo video del terrorista (L'Espresso)
Profilo di al Zarqawi (La Repubblica)

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martedì, maggio 30, 2006

Massacro di Haditha, un'altra My Lai...


Della storia se n'è parlato a lungo. Un convoglio militare americano viene attaccato con la solita bomba rudimentale in Iraq. I soldati perdono la testa, sparano contro un taxi, uccidendo quattro studenti universitari disarmati, poi si buttano su due case e annientano due gruppi familiari di civili inermi, senza troppo riguardo per donne, vecchi, bambini.

Sulla vicenda sono state aperte due inchieste in America contro i marines che facevano parte del commando. Molti paragonano questo episodio al massacro del villaggio di My Lai in Vietnam durante la guerra persa dai soldati a stelle e strisce.

Sul massacro di Haditha del 19 novembre scorso le testimonianza sono molte. L'Msnbc e Newsweek ne riportano alcune particolarmente vivide, che non vengono dall'Iraq, ma proprio dai familiari di due marines americani.

I due giovani solfati statunitensi, caporalmaggiore Andrew Wright (20 anni) e caporal maggiore Roel Ryan Briones (21 anni), sono rimasti traumatizzati, secondo quanto raccontano i loro familiari, quando sono stati costretti ad andare a fotografare i corpi delle vittime. I corpi che i due hanno visto, ha raccontato all' Associated Press la madre di Briones, Susie, hanno visto 23 cadaveri.

"E' stato orribile, una scena terribile", ha detto Susie in lacrime nell'intervista ad Ap. La macchina fotografica di Briones è stata sequestrata dagli investigatori della Marina Usa. Anche Frederick Wright, il padre dell'altro marine, ha confermato che il figlio è sotto shock.

Sul massacro di haditha al momento non c'è molta chiarezza. La dinamica descritta sopra è stata prima raccontata da John Murtha, un rappresentante democratico ex marine e decorato di guerra, e poi confermato da testimoni sul luogo. Dapprincipio, i vertici militari avevano affermato che c'erano stati 15 civili iracheni uccisi per una bomba e uno scontro a fuoco con otto ribelli morti e un marine ucciso. Invece, secondo altre testimonianze, che il marine sia morto per la bomba e poi i suoi compagni hanno perso la testa e fatto un massacro di civili.

Il generale Peter Pace, portavoce dello Stato maggiore della Difesa Usa ha ammeso che i suopi soldati possono non "aver fatto il loro dovere come fa il 99,9 per cento dei marines"". Certo, però, che questo 0,1 per cento di danni ne fa...

Susie Briones, la mamma del marine traumatizzato, ha spiegato che il figlio ha visto tta l'altro una bambinetta uccisa con un colpo alla testa. "Ha dovuto portar via il corpo di quella bimba: aveva la testa scoppiata e le sue cervella si sono sparse sugli anfibi di mio figlio".


Alcune link per saperne di più:

In Italiano

L'Unità
EuroNews
La Repubblica
PeaceReporter

Inglese - English

USAToday
ABC News
New York Times
Sidney Morning Herald
Gulf News (Emirati ArabiUniti)

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domenica, maggio 07, 2006

Ipocrisia italiana in Iraq: una guerra che non è guerra


Certo colpisce. Leggere su L'Espresso di questa settimana l'intervento del generale Fabio Mini (nella seconda foto), ex comandante della missione Nato in Kosovo (Kfor) e una delle menti più lucide delle nostre Forze Armate, che scrive riferendosi ai commenti politici dopo l'uccisione dei nostri soldati a Nassiriya: "Aridi e sterili, dai quali non nasce nessuna vera presa di coscienza e soprattutto nessuno scrupolo professionale e morale. C'è il rito dell'esecrazione, della condanna dell'atto che per definizione è sempre terroristico, efferato, vile e barbaro. E non può essere altrimenti perche' noi agiamo nel mito e con il rito della pce: non facciamo la guerra, non andiamo nei luoghi di guerra, non offendiamo nessuno e portiamo soltanto pace, libertà, democrazia all'insegna della bontà d'animo e della nostra superore civiltà". Ma il punto cruciale al quale Mini vuole arrivare è quello che segue: "Questo rito rifiuta le ragioni degli altri, nega lo status di nemico a chi ci offende e nega perfino quel che il diritto internazionale stabilisce: se si è in casa d'altri con le armi e si pretende di controllare l'ordine e la sicurezza si è occupanti a prescindere dai motivi o dalle intenzioni. Se si impiegano i contingenti armati e non si garantisce ne' ordine ne' sicurezza non si è nulla. Non esiste uno status internazionale di liberatori o di samaritani armati".

Le avesse pronunciate un qualsiasi Paolo Cento, un Marco Ferrando, un Caruso, si sarebbe scatenata una canèa di commenti politici di gente che non perde occasione di ripetere agli altri di vergognarsi ecc. ecc. Nel caso dell'autore de "La guerra oltre la guerra", di uno dei generali italiani più conosciuti a livello internazionale, cosa fa la nostra politica omologata e cieca? Tace, fa finta di niente.

Marcopolo invece vuole prendere spunto da questo ragionamento di Mini, per fare alcune considerazioni. Ai morti di Nassiriya non è mai stata assegnata la medaglia d'oro al valor militare, che invece è stata assegnata al valor civile al bodyguard Fabrizio Quattrocchi ucciso dai rapitori in Iraq. Il motivo è semplice: quell'onorificenza i militari la potrebbero avere solo a costo di un'ammissione da parte italiana del fatto che stanno combattendo una guerra. Ma, se si fa questo passo, il governo si pone automaticamente al di fuori della Costituzione. Così, quelli che sono morti nell'esercizio generoso del loro dovere in Iraq non possono essere considerati "eroi". Attenzione, non è marcopolo che lo dice. Chi scrive sa che lì si sta combattendo una guerra vera e propria quindi è convinto che i caduti a Nassiriya sono proprio eroi. Ma, provate a notare un attimo alla questione terminologica: nelle dichiarazioni dei politici i "nostri ragazzi" morti a Nassiriya sono "martiri" per chi li vuole esaltare, "vittime" per chi vuole considerarli intrappolati in un meccanismo più grande di loro.

Entrambe le definizioni umiliano il loro status di soldati. Quella di martire dà un'idea un po' religiosa della loro missione, quella di vittima li considera quasi dei civili. No, la definizione più giusta per loro è eroi. Ma la nostra politica è pudica rispetto a questa definizione, perche' quel termine è troppo collegato al concetto di guerra. E quella in Iraq non è guerra, anche se ne ha tutte le caratteristiche, per l'ipocrisia di stato.

"La presenza militare straniera su un territorio soggetto a una sovranità locale non può essere lasciata nel vuoto istituzionale o alla merce' delle pulsioni politiche di questo o quel signorotto", continua a spiegare il generale Mini. "La presenza militare istituzionale - specifica il comandante -, cioè quella espressa dagli Stati e non dalle compagnie di mercenari, ha una valenza particolare proprio perche' influisce sulla sovranità dello Stato, sulla sua sicurezza e sull'indipendenza delle sue legittime e legali istituzioni. Rispetto alla sovranità e sicurezza sono i requisiti essenziali e qualsiasi processo di pace, ordine e ricostruzione. Perciò il diritto internazionale si sforza di contemplare i casi possibili d'intervento armato su territori esteri e di fissarne i limiti di legittimità, stabilendo che la presenza di truppe straniere non sottrae mai la sovranità dello Stato operante".

Capita l'antifona? Beh, se non l'abbiamo capita, continuerei con quello che dice Mini: "Tale presenza non può essere trattata in maniera ambigua e indefinita (ndr: come è dal governo italiano) neppure se si tratta di una parteicazione 'tecnica' di cooperazione o di un atto di solidarietà. Senza uno status ben definito e senza l'accettazione coale e istituzionale del paese ospitante, la presenza militare, specie se protratta nel tempo, rischia di sconfinare nella prevaricazione e nella limitazione della sovranità altrui, rendendo legittima qualsiasi resistenza anche armata".

Ecco, marcopolo penserà a queste parole quando sentirà di nuovo i nostri politici sproloquiare frasi del tipo di questa: "L'attentato assassino che ha stroncato barbaramente la vita dei nostri soldati a Nassiriya è un attacco alla civiltà. Siamo vicini alle famiglie di questi nuovi martiri della libertà e alle Forze Armate. Anche per onorare il loro sacrificio, che ci addolora profondamente, è necessario, ora più che mai, proseguire la nostra missione di pace in Iraq". La dichiarazione risale al 27 aprile 2006. L'ha detto uno di quelli che ha mandato i nostri soldati in Iraq senza un preciso quadro operativo, che ne ha fatto dei "martiri" in una guerra che non è guerra.

P.S.: marcopolo apprende che è morto oggi anche l'unico superstite dell'attentato della settimana scorsa a Nassiriya, il maresciallo dei Carabinieri Enrico Frassanito.

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giovedì, aprile 27, 2006

La lenta caduta nella trappola di Nassiriya



Luglio 2003

I giornalisti si siedono a tavola. La vista è bella, si vede l'Eufrate che scorre nella città. Qualcuno scherza: "Bella 'sta terrazza sul Lungotevere...". Si ride.

La sicurezza ancora non passa agli italiani. Sul terrazzo di "Animal House" a Nassiriya, lo spettacolo è stridente. I soldati statunitensi, armati di tutto punto, agli angoli del terrazzo, fanno la guardia a fucili spianati. Alcuni stanno sdraiati sulle brande da campo, messe sulle terrazze perche' dentro il caldo è insopportabile.

Al centro del terrazzo, una tavola imbandita. Si mangiano penne, si beve un po' di vino. Dopo una giornata soffocante, anche i quasi 40 gradi della sera danno la sensazione di un fresco sollievo.

I carabinieri, i bersaglieri, i giornalisti chiacchierano, ridono. Parlano di una missione che sembra nata bene. La gente sembra aver accolto bene gli italiani. Sono sciiti, hanno sofferto sotto Saddam. I bambini giocano coi bersaglieri e coi carabinieri. Si respira aria di speranza.

Finita la cena, i giornalisti s'incamminano a piedi lungo la strada che costeggia l'Eufrate. Saranno le 11 di sera. Non ci sono timori. Una bella passeggiata, fino all'hotel, munito di aria condizionata...

Novembre 2003

"Animal House" non c'è più. O meglio, resta uno scheletro, un orrendo monumento alla morte. Si sente puzza di bruciato dappertutto. I giornalisti, che avevano cenato a luglio su quel terrazzo, guardano sconsolati i militari del Ris (il reparto d'investihazione scientifica dei carabinieri) che fa il suo lavoro. Sanno che nulla sarà come prima.

Si riesce comunque ancora a uscire da soli. I giornalisti salgono sulle auto coi loro autisti-interpreti e vanno in cerca delle storie da raccontare. Non è un problema entrare nel suq, nel mercato. Perdersi in quei vicoli puzzolenti di pesce, farsi largo tra le mosche, e vedere anche i tessuti coloratissimi del mercato. Ogni tanto scoppiano tafferugli, spesso sono soldati che vogliono i loro stipendi.

La notte di Capodanno alcuni giornalisti prendono un auto, poco prima della mezzanotte, e vanno da "White Horse", la base principale italiana a sei km da Nassiriya, per andare a trascorrere la mezzanotte coi carabinieri di base Libeccio, proprio accanto ad "Animal House". Solo un mese prima sono stati duramente colpiti: c'è una storia da raccontare. Un po' di stupore li coglie quando, festeggiando a bistecche l'arrivo del nuovo anno, notano che hanno pronte le maschere antigas...c'è stato un allarme? Così pare.

Novembre 2004

Non ci si muove più dalla base militare. C'è stato di tutto nei mesi precedenti: rapimenti, battaglie, attentati. A Nassiriya, che erroneamente era considerato uno dei posti più tranquilli dell'Iraq, si è combattuto furiosamente. La "battaglia dei ponti" ha fatto molti morti.

Anche per i giornalisti, i movimenti indipendenti sono rarefatti, quasi impossibili. Per quanto i militari siano efficienti e cerchino di dare notizie quanto più accurate possibile, si rendono conto che è impossibile lavorare così.

Per di più, la base italiana di White Horse è rimasta solo come avamposto in via d'abbandono. Il grosso del contingente si è spostato a Camp Mittica, a Tallil, a 11 km da Nassiriya. E' collegato all'aeroporto militare nelle mani degli americani. La base dei carabinieri in città non esiste più. Il contingente italiano è sempre più una cittadella isolata rispetto al resto di Nassiriya dove, a quel che se ne sa, la fanno da padroni capi tribali tradizionali e milizie sciite. Resta forte quella legata al religioso sciita Muqtada al Sadr.

27 aprile 2006

Un IED, cioè un ordigno artigianale collocato lungo la strada, fa saltare in aria un mezzo italiano. Muoiono almeno tre carabinieri e un romeno. Il governo ha annunciato che presto ci si ritirerà. Il governo che deve venire vuole anche fare prima. Intanto a Nassiriya si muore ancora, in una missione che sembra sempre più una trappola.

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mercoledì, aprile 26, 2006

Colpiscono il Cairo, ma puntano a Gerusalemme


Piccola aggiunta a quanto scritto su Osama e sul tentativo di al Qaida d'inserirsi nelle dinamiche politiche della questione palestinese. Gli attentati dell'altroieri e di oggi in Egitto, secondo diversi osservatori, nonche' la chiave di lettura del video del tagliagole giordano Abu Musab al Zarqawi, trasmesso ieri, s'inseriscono nella stessa logica.

Guido Olimpio sul Corriere della Sera oggi sottolinea come il n. 2 di al Qaida Ayman al Zawahiri (egiziano ed ex esponente della Fratellanza islamica) abbia detto già nel 2001 che "la via per liberare Gerusalemme passa dalla liberazione del Cairo". Così, è lo stesso al Zawahiri a innescare nel 2004 i kamikaze che colpiscono a Taba (dove, ricordo, morirono anche due ragazze italiane). La strage di Dahab, come quella di Sharm el Sheikh e quella di Taba, s'inserirebbero insomma nelle dinamiche del conflitto israelo-palestinese. E tenderebbero a delegittimare la scelta "elettorale" del gruppo estremista Hamas in Palestina, ma anche della Fratellanza in Egitto.

Qui, un piccolo inciso. L'autocrate corrotto Hosni Mubarak aveva promesso riforme prima di essere rieletto presidente. Le riforme non si sono viste, anzi. Il leader democratico Ayman Nour è stato sbattuto in galera con una scusa futile (falsificazione della documentazione elettorale...pare che sia di moda creare casi del genere, vedi caso che coinvolge Storace in Italia). La mossa ha lo scopo di spianare la strada al figlio dell'autocrate, Gamal. E, intanto, la cricca Mubarak continua a fare soldi sui resort turistici del mar Rosso. C'è da chiedersi perche' la nostra industria turistica, in barba al potenziale di rischio che c'è nell'andare in quelle zone, continui a mandarvi turisti.

Ma torniamo ai nostri terroristi. Anche al Zarqawi, mente certo meno fina di al Zawahiri, ha espresso concetti simili a quelli del numero due del brand terroristico. "O cara nazione islamica, noi facciamo come il Profeta, combattiamo in Iraq ma abbiamo sempre in mente Gerusalemme", ha detto il tagliagole.

Fatte queste considerazioni si pone un problema anche per noi occidentali. Bin Laden e Zawahiri hanno sempre condannato, scrive Olimpio, la scelta di Hamas di limitare la loro strategia kamikaze a Israele e di non esportare gli attentati all'estero, nelle località turistiche, contro gli israeliani in particolare. Da questo punto di vista, la divergenza strategica è pericolosa. Se, infatti, il primo ministro designato da Hamas, Haniyeh, si è affrettato a definire "un crimine odioso" l'attentato di Dahab non è perche' sia diventato buono, ma perche' teme che il messaggio di al Qaida e del salafismo più estremo possa attecchire nelle masse diseredate di Gaza, scavando il terreno sotto i piedi di Hamas stessa. In questo senso, c'è da chiedersi se, piuttosto che la strategia di chiusura e di stop agli aiuti decisa da Stati Uniti e Unione Europea, non sia più "efficace" la politica di dialogo con Hamas scelta da Russia e Cina. Sia chiaro: "efficace non vuol dire "eticamente giusta", ma talvolta anche Machiavelli può esser messo al servizio di un mondo meno pericoloso.

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lunedì, marzo 27, 2006

Lo sceicco del terrore e il "matto" di Kabul


Oggi il MarcoPolo voleva occuparsi di Ucraina, Bielorussia, del ruolo che sta riassumento la Russia nei paesi vicini e dipendenti dalle sue forniture di gas. Ma la cronaca l'ha sopraffatto e deve di nuovo parlare di Iraq e di Afghanistan.


Iraq

L'ennesimo attentato suicida, questa volta vicino a Mosul, ha ucciso almeno 40 iracheni, molti dei quali erano reclute dell'esercito. Altre 20 persone sono rimaste ferite. Quando MarcoPolo scrive tante di queste risultano essere in condizioni particolarmente gravi. Il bilancio, insomma, potrebbe crescere ulteriormente. E' l'attentato più sanguinoso del 2006, dopo quello che è costato la vita a 70 persone a gennaio a Ramadi.

A rivendicare l'attentato suicida è, ma queste rivendicazioni vanno sempre prese con le molle, al Qaida. "Un fratello della Penisola di Maometto (Arabia Saudita, ndr), con una cintura di esplosivi, si è lanciato questa mattina contro la base dei crociati situata a nord est della città di Taalafar, e si è infiltrato fra centinaia di reclute prima di farsi esplodere", recita il testo del comunicato. "L'operazione - aggiunge - si è risolta con centinaia di morti e feriti". Si tratta davvero dell'organizzazione di Osama Bin Laden? Di mitomani? Di realtà virtuale? Non lo sapremo mai.

Il bilancio di sangue della giornata, tuttavia, non finisce qui. Almeno 20 cadaveri sono stati ritrovati a Baghdad in due diversi punti della città. Molti avevano corde al collo, erano ammanettati e bendati. L'ennesimo caso di violenza tra sunniti e sciitimolto probabilmente.

E' sempre più una guerra di tutti contro tutti. Lo dimostra l'ultimo episodio avvenuto ieri. Le forze statunitensi, col sostegno di quelle irachene, effettuano un raid violentissimo nella moschea sciita di Mustafah, a Baghdad. Nell'operazione vengono uccise 16 persone, ma la polizia irachena dice 22. Il ministro degli Interni iracheno Bayane Jabr Soulagh definisce il raid "ingiustificato" e accusa: non è vero, come hanno detto gli americani, che le vittime sono ribelli, ma semplici fedeli in preghiera. Il governatore di Baghdad Hussein Tahan convoca una conferenza stampa e minaccia: "Prenderemo misure più decise per preservare la digntà dei cittadini iracheni".

Afghanistan

Anche di quest'altro "hot-spot" della politica mondiale c'è da parlare oggi. Una mina a Helmand, nel sud del paese, ha provocato la morte di tre persone. Quante mine ci sono in Afghanistan? Un'infinità. E' un paese che viene da 30 anni di guerra. Mine sovietiche, cinesi, italiane, americane, continuano a infestare il paese e ogni tanto ne salta una. A pagare il prezzo più elevato sono i bambini, che sono anche i più indifesi e curiosi.

Ma a dominare l'informazione su questo disgraziato paese centro-asiatico, al momento, è un'altra vicenda. Quella del cristiano convertito Abdul Rahman. In Italia ne stiamo facendo una bandiera, ha fatto un appello anche il papa Benedetto XVI. Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini giorni fa era intervenuto e aveva cantato vittoria affermando che l'uomo era ormai salvo. Cosa era accaduto? La pubblica accusa aveva decretato che Abdul è matto...Non erano stati considerati alcuni elementi: il primo, la testardaggine dell'uomo che non vuole essere considerato matto, ma rivendica la sua conversione (vocazione al martirio); il secondo, la piazza che di Abdul vuole la testa.

Dopo che ieri la Corte suprema afgana ha ordinato una nuova inchiesta (che può voler dire scarcerazione per Abdul, ma anche nuova condanna a morte), oggi centinaia di persone sono scese in piazza a Mazar-i-Sharif. Non per chiedere di salvare la vita all'apostata, ma per chiederne l'uccisione. C'è un braccio di ferro in corso, intanto, tra il governo di Hamid Karzai, il debole presidente afgano conosciuto sprezzantemente anche col nomignolo di "sindaco di Kabul", e le autorità religiose del paese. Karzai non può permettersi di avere cattiva stampa in occidente. I mullah non ci pensano neanche a farsi scappare una bella esecuzione che faccia da lezione ai eventuali anime poco accorte al Messaggio del Profeta.

Viene anche alla luce il contesto in cui è nata la vicenda. Secondo il quotidiano arabo Elaph, la conversione di Abdul è avvenuta durantre la frequentazione di un gruppo di volontari che aiutavano i profughi afgani in Pakistan e poi è stata portata a termine in Germania. L'arresto dell'uomo è avvenuto da parte degli stessi familiari che, evidentemente preoccupati che ai due figli dell'uomo fosse negato in futuro il Paradiso in seguito a un'improvvida conversione, l'hanno denunciato. Poi, quando l'uomo è stato addirittura condannato a morte, i familiari hanno testimoniato che l'uomo dava segni di squilibrio. Farlo apparire scemo: un ottimo escamotage per salvargli la pelle e rimuovere il problema. Peccato che Abdul non ci pensi nemmeno a voler passar per pazzo. E, forse, per questo lo è davvero.

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sabato, marzo 25, 2006

I nuovi incubi d'Iraq


"Tre anni sono passati e gli incubi dei bombardamenti, lo 'spaventa e terrorizza' si è modificato in un altro tipo di incubo. La differenza tra ora e allora è che tre anni fa noi ancora temevamo per le nostre cose materiali: le nostre proprietà, le cause, le auto, l'elettricità, l'acqua, la benzina...E' difficile definire di cosa abbiamo paura oggi. Anche il più cinico critico della guerra non avrebbe potuto immaginare le condizioni disfraziate in cui si sarebbe trovato il paese dopo la guerra... Allah yistur min il raba'a (Dio ci protegga per questo quarto anno)".
Riverbend (http://riverbendblog.blogspot.com/)

Le righe riportate sopra vengono da Baghdad. A scriverle è stato una blogger irachena che si firma Riverbend. Tre anni fa aveva inizio la guerra in Iraq. Se i nostri nonni hanno vissuto la tragedia della seconda guerra mondiale, i nostri padri quella della guerra fredda (che a volte è stata più "calda" di quanto normalmente si pensi), la nostra generazione ha come conflitto di riferimento conflitti come la guerra in Afghanistan e, ancora di più, la guerra in Iraq. Anche noi italiani abbiamo perso degli uomini lì. E, se per la maggior parte di noi, è una guerra vissuta sostanzialmente sugli schermi televisivi, per tanti italiani non è così. Migliaia d'italiani (soldati, giornalisti, cooperanti, diplomatici, uomini dell'intelligence) il "campo di battaglia" l'hanno visto.

La guerra non è finita. Anzi, nelle settimane scorse sta vivendo un'escalation. Ayad Allawi, l'ex primo ministro ad interim iracheno, nei giorni scorsi ha denunciato il fatto che ogni giorno gli iracheni contano almeno 50 morti. Secondo Iraq Body Count siamo, dall'inizio della guerra, tra i 33.773 e i 37.895 civili morti oggi. A questi, bisogna aggiungere almeno 2.482 soldati statunitensi rimasti uccisi in questo conflitto fino a oggi. Non sappiamo il numero di militari iracheni morti. Ah, ci sono anche una dozzina di soldati italiani, due civili morti a Nassiriya. Poi il bodyguard Fabrizio Quattrocchi e il giornalista freelance Enzo Baldoni, spesso dimenticato.

La situazione politica in Iraq va sempre peggio. Il primo ministro designato Ibrahim al Jaafari non riesce ancora a sbloccare le trattative per arrivare a un governo. Le elezioni politiche che dovevano segnare la svolta risalgono ormai il 15 dicembre 2005. Da allora si sono moltiplicati attentati, assassini mirati. Il conflitto strisciante tra sciiti e sunniti è diventato sempre più palese. Altrettanto evidente appare il disagio, che potrebbe presto diventare spinta secessionista, da parte dei curdi, ora alleati all'ala più secolare dei sunniti. Appare sempre più incisivo il ruolo che sta assumendo l'Iran, anche attraverso il suo appoggio a diverse componenti sciiti, che Teheran muove a seconda della bisogna. Da un lato il Consiglio superiore della rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), con le sue Brigate Badr, dall'altro l'Esercito del Mahdi, del giovane leader sciita Muqtada al Sadr, appaiono pedine che Teheran muove con una certa destrezza.

Sul fronte militare, l'addestramento del nuovo esercito iracheno sembra un'impresa sempre più improba e lontana. Le forze della Coalizione appaiono sempre meno interessate a restare. Britannici e italiani entro il 2006 dovrebbero sloggiare. Anzi, per quanto riguarda il contingente italiano, la partenza potrebbe ancora essere più accelerata a seconda di come andranno le elezioni del 9 e 10 aprile. Gli stessi americani sembrano sempre più interessati a mettere in atto una exit-strategy che li porti via dalla Mesopotamia.

Tre anni di guerra son passati. La via d'uscita non si vede ancora. Dio ci protegga per questo quarto anno...

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giovedì, marzo 23, 2006

Granelli di realtà


Le forze statunitensi continuano a ripetere che in Iraq le cose migliorano. E, invece, le cose non stanno così. Oggi, 23 marzo 2006, a tre anni dall'inizio della guerra, almeno 56 persone sono morte o sono state trovate uccise in esecuzioni, bombe e scontri a fuoco. Non male per un paese ormai "pacificato".

Anche Francis Fukuyama, lo ricordate? era il teorico della "fine della storia", ha abbandonato il campo neo-con negli Stati Uniti. La vittoria di Hamas in Palestina, l'affermazione dei Fratelli musulmani in Egitto, la montante ondata islamista in tutto il Medio Oriente stanno dimostrando che era la democratizzazione sulla punta del fucile non funziona. Ma non perche' sia brutta la democrazia. Semplicemente perche' nelle cose del mondo non ci sono automatismi che possono essere applicati così facilmente. La realtà fugge via dalle mani, incontrollabile, sottile come sabbia del deserto.

MarcoPolo vuole raccontare questi granelli di realtà. Senza l'ambizione di parlare di tutto, senza la certezza di avere Verità in tasca. Ma partendo, questo sì, dai fatti.

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