domenica, settembre 10, 2006

Torna Omar, se ne va al Sistani


In questi giorni di trionfalismi "libanesi" e di dibattiti un po' provinciali, da italietta incapace di valutare la portata degli eventi che si susseguono tra un'opposizione che dice "no" per ripiccuccie infantili e una maggioranza che si fa opposizione da sola, stanno avvenendo fatti di portata enorme nei due teatri di guerra che hanno visto e ci vedono impegnati direttamente: l'Afghanistan e l'Iraq.

Afghanistan

Le notizie di oggi parlano di un governatore provinciale ucciso da un kamikaze e di un'attacco della Nato nel sud del paese, costato la vita a un soldato dell'Alleanza atlantica e a 94 miliziani. Roba di tutti i giorni, si può dire, in quella che è una guerra guerreggiata mai conclusa veramente. Eppure è il contesto che sta prendendo contorni sconvolgenti.

L'Afghanistan sembrava una guerra ormai vinta: li ricordate i profeti entusiasti della Pax Neoconservatrice celebrare l'Afghanistan libero e democratico? Beh la guerra non solo non era ancora vinta, ma gli Stati Uniti e la Nato sembrano star facendo di tutto per perderla. Per esempio, hanno messo sul terreno solo 40 mila uomini. La Nato sta chiedendo ai paesi membri uno sforzo di altri 2.000-2.500 uomini, ma ci vorrebbe ben altro per controllare il territorio. In Iraq solo gli americani hanno 140mila soldati...

Sul terreno le cose si mettono male, anche perché il vecchio tutore dei talebani, il Pakistan, sta tornando alle vecchie posizioni pre-11 settembre. Il generale Pervez Musharraf non è mai stato così debole: puntellandosi ai partiti islamici, cerca di resistere agli attacchi che gli vengono da ambienti militari sempre più ostili e sempre più vogliosi di rimettere a Kabul qualche fantoccio manovrabile. Il tutto mentre le zone tribali al confine con l'Afghanistan, il Waziristan, restano al di fuori del controllo di Islamabad.

Il Pakistan ha di fatto siglato una tregua coi talebani. Secondo le notizie diffuse dall'intelligence Usa, il capo dei talebani, il misterioso mullah Omar, si nasconderebbe (ma mica tanto nascostamente...) proprio in quelle zone tribali pachistane. Islamabad avrebbe ormai rinunciato a dare la caccia a lui e agli uomini di al Qaida (tra cui forse Osama Bin Laden e Ayman al Zawahiri).

L'accordo, spiega in una corrispondenza per Asia Times Online il giornalista Syed Saleem Shahzad, prevederebbe anche la liberazione di una serie di uomini di primo piano di al Qaida e dei talebani, prigionieri in carceri pachistane. Tra questi Ghulam Mustafa, considerato il capo qaedista in Pakistan.

Da un punto di vista meramente militare questo accordo mette i talebani in condizioni di essere più tranquilli nei loro attacchi contro le forze della coalizione in Afghanistan. Shehzed sostiene che ormai i talebani hanno di fatto il controllo sulla gran parte dei settori sudoccidentali del paese, da dove presto Omar dovrebbe annunciare al mondo la rinascita dell'Emirato islamico d'Afghanistan (nome ufficiale del apese sotto i talebani). Dopodiche' dovrebbe iniziare, probabilmente la prossima primavera, la nuova avanzata verso Kabul.

La popolazione, se nella gran parte del paese continua a essere ostile ai talebani, comincia tuttavia preferirli agli occidentali. Il motivo è semplice: della ricostruzione promessa sono arrivate solo le briciole, mentre la fallimentare politica anti-narcotici ha tolto la sussistenza a molti contadini poveri. Secondo il think tank Senlis Council, siamo a una vera e propria crisi umanitaria. Attorno a città come Kandahar, un tempo roccaforte dei talebani, ci sono ormai accampamenti di disperati affamati. In questo contesto, rischia di passare un messaggio dei talebani: quando noi eravamo al potere eravate meno liberi, ma almeno non morivate di fame.

Iraq

Le cose non vanno affatto meglio in Iraq. Secondo le notizie che filtrano dal teatro, gli Stati Uniti avrebbero di nuovo perso il controllo reale (ma l'hanno mai avuto?) del cosiddetto "Triangolo sunnita", cioè di quell'area che comprende le città di Ramadi, Fallijah, Haditha. Si tratta dell'area in cui gli americani hanno perso circa 1.000 degli oltre 2.600 soldati persi in questa guerra. Questo nonostante abbiano di fatto raso al suolo Fallujah e disposto ingenti forze nella provincia. Peraltro, si tratta di una zona cruciale per i collegamenti: la provincia di al Anbar confina con Giordania, Siria e Arabia saudita e vi passa l'autostrada tra Amman e Baghdad. Lungo quest'arteria, diverse zone sono sotto il controllo dei ribelli, che attaccano liberamente i convogli americani.

I residenti sono sempre più arrabbiati con gli americani. Oltre al fatto che questa è zona sunnita, e i sunniti hanno molto da rimproverare agli statunitensi che hanno di fatto messo l'Iraq nelle mani di sciiti e curdi, c'è anche il fatto che, oltre alla distruzione di Fallujah, ora stanno radendo al suolo parte della città di Ramadi per rendere più agevole il controllo della sicurezza delle loro postazioni. E usano sempre il pugno pesante nei rastrellamenti.

La cosa più enorme, tuttavia, è accaduta da un punto di vista politico e sul fronte sciita. Lo ricordate il grande ayatollah Ali al Sistani? E' quel signore con la lunga barba bianca e il turbante nero, massima autorità religiosa del mondo sciita assieme agli altri due grandi ayatollah Ali Khamenei e Ali Akbar Montashemi, che nei due anni scorsi è stato il vero motore della politica irachena e ha permesso di sperare in una svolta democratica.

E' stato lui a imporre agli sciiti iracheni una collaborazione "onorevole" con le forze d'occupazione statunitensi, pur essendo contrario alla loro presenza. E' stato lui a bloccare ben due rivolte capeggiate dal più giovane, focoso e intraprendente Muqtada al Sadr. E' stato lui, ancora, a dire agli iracheni che andare a votare è "un dovere religioso". Addirittura a dire alle donne che, se i loro mariti avessero impedito loro di andare al voto, avevano il diritto di disubbidire. E' stato lui a coagulare le forze politiche sciite (da al Dawa allo Sciri) in un'alleanza che ha portato alla formazione del governo di Nour al Maliki.

Ebbene, questo grande religioso (nient'affatto moderato: cerchiamo di essere chiari!) dal passaporto iraniano e dall'accento persiano, pare che sia molto deluso dalla piega che ha preso la situazione. Nel paese si susseguono rapimenti, uccisioni (alcune mirate, altre meno), violenze tra sciiti e sunniti, ma anche tra milizie diverse sul fronte sciita. Nel rapporto col nuovo tutore del paese, l'Iran, nonostante l'immutata ed enorme deferenza etico-religiosa nei confronti di Sistani, sembra sempre più guadagnare punti al Sadr. Insomma, il disegno gradualistico del vecchio ayatollah sembra essere sfociato nel caos. Sistani ne ha preso atto e si è fatto da parte. "Non sarò più un leader politico. Sarò contento di ricevere richieste solo su questioni religiose", ha detto in questo weekend. "Non sono in grado - ha detto ancora - di fermare la guerra civile".

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