lunedì, luglio 31, 2006

Noi, gli analfabeti emotivi


Noi occidentali siamo affetti da "analfabetismo emotivo". La diagnosi, dura, viene dal filosofo Umberto Galimberti (nella foto), che ha scritto oggi un bellissimo articolo per il quotidiano La Repubblica.

Galimberti parte dal naufragio raccontato dai giornali, con pochissima enfasi, di una delle carrette del mare che portano disperati sulle nostre coste. Sono morte 13 persone, mentre la barca andava alla deriva. Allo stesso modo in cui, nel Mediterraneo, si moriva ai tempi dei fenici: cotti dal sole, assetati, affamati.

Perche', si chiede Galimberti, siamo così indifferenti rispetto a questo tipo di tragedie? Perche' la nostra opinione pubblica non è capace di sollecitare, spingere, costringere la politica (quella dei grandi interessi economici) ad agire in modo che questa gente non debba soffrire tanto da dover affrontare la morte nella carrette del mare?

E' una rimozione. Non riusciamo a pensare alle migliaia, talvolta milioni di morti che, nei conflitti in quello che ingiustamente chiamiamo terzo mondo, dovrebbero pesare anche sulla nostra coscienza di uomini, prima che di occidentali. Invece, no: noi li rimuoviamo, forse segretamente convinti che dalla loro povertà dipenda il nostro benessere.

Poi, i rimossi ritornano. A bordo di carrette del mare, in immagini televisive in cui li vediamo squartati da una bomba in medio oriente o da un machete in Darfur. Tornano e ci trovano impereparati, impauriti. Vogliamo difenderci, dice Galimberti, non solo dalla povertà, ma dalla percezione della povertà. E quindi non facciamo nulla per impedire che essa diventi smisuratamente dilagante. Più l'allontaniamo dai nostri occhi e dalla nostra coscienza, meno siamo capaci di affrontarla e ci limitiamo a relegarla in un "non-mondo", dove non è possibile toccarla, vederla, patirla. Così siamo diventati analfabeti emotivi. Così il mondo ci scoppierà tra le mani.

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domenica, luglio 30, 2006

Qana, un'altra strage degli innocenti

Marcopolo non crede che ci sia bisogno d'alcun commento. Le foto, prese dal sito di Repubblica, documentano il bombardamento israeliaeno a Qana, dove sono morte 55 persone, di cui 34 bambini.















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mercoledì, luglio 26, 2006

Israele manda un messaggio all'Onu. Il contenuto? Esplosivo!


Tra le vittime della guerra israelo-libanese, l'avete visto tutti, ci sono anche le Nazioni Unite. Dopo il ferimento di un sottufficiale italiano del contingente Unifil (Forza d'interposizione Onu in Libano), distaccamento dell'Onu in Libano, avvenuto per un ordigno lanciato dalla milizia sciita Hezbollah, è toccato a quattro caschi blu morire in un attacco da parte delle forze israeliane contro una postazione dell'Onu chiaramente identificabile.

Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha condannato l'"apparentemente deliberato fuoco delle forze di difesa israeliane nei confronti della postazione degli osservatori Onu". Ovviamente s'è beccato la solita salva di critiche, fa parte del compito del capo del Palazzo di Vetro.

Beh, c'è da stupirsi di questo attacco? Se fosse una novità, sì. Ma non lo è. Nel 1996 accadde la stessa cosa. Le forze israeliane bombardarono una postazione Onu a Qana. A morire quella volta furono ben 106 civili libanesi. Il predecessore di Annan, Boutros Boutros Ghali puntò il dito contro Israele, beccandosi critiche a non finire.

Naturalmente è stato un "errore". Ma chi ci crede? Non certo il comandante di Unifil generale Alain Pellegrino, che è infuriato. E neanche Annan, che dichiara: "Questo attacco coordinato, aereo e d'artiglieria, sul posto Onu di Khyam, che è da tempo lì ed è chiaramente identificato, è avvenuto nonostante le assicurazioni personali del primo ministro israeliano Ehud Olmert che le postazioni Onu non sarebbero state attaccate dal fuoco isreliano".

A chi giova? Da premettere che tra i falchi israeliani non verranno versate troppe lacrime. L'Unifil lì ha spesso denunciato abusi di ogni tipo contro civili anche da parte delle forze israeliane. E probabilmente non c'è molta voglia da parte israeliana di avere lì una forza guidata dal Palazzo di Vetro. L'attacco "accidentale" di ieri, alla vigilia della Conferenza di Roma, sembra essere un messaggio a chi deve capire: niente caschi blu!

D'altro canto, a parole, Tel Aviv ha accettato l'idea di una forza d'interposizione internazionale. Con l'attacco di ieri raggiunge l'obiettivo, da un lato, che la forza non debba dipendere dal Consiglio di sicurezza Onu, che spesso ha emesso nei suoi confronti risoluzioni negative. Dall'altro lato pone un'ipoteca sulla voglia di chicchessia di far parte di quel contingente. Già i candidati non è che si sprechino, come ha raccontato magistralmente oggi Bernardo Valli su Repubblica.

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sabato, luglio 22, 2006

E se la guerra fosse iniziata per errore?

Mantenendo sempre una precisa linea di dubbio, marcopolo oggi racconta un'altra possibile versione sulla genesi del nuovo conflitto israelo-libanese. Anche in questo caso, sottolinea che tutte le considerazioni e notizie che riporta, sono da prendere con le molle. L'inquinamento dell'informazione è una precisa strategia militare che tutte le parti in causa praticano quando c'è un conflitto in atto. In questa jungla, marcopolo preferisce districarsi fornendo una pluralità di posizioni, dalla cui sintesi alla fine potrebbe anche emergere qualche elemento di verità. Da questo post, inoltre, marcopolo intende fornire anche una documentazine fotografica delle sofferenze che la popolazione civile sta soffrendo in Libano e anche in Israele. Questo perche' le considerazioni politiche che intende fare nei testi non devono mai far dimenticare che, dietro, ci sono enormi sofferenze di chi non ha colpa alcuna. Alcune delle immagini (quelle di oggi sono libanesi) sono raccapriccianti. Marcopolo si scusa se la sensibilità di qualcuno dei pochi navigatori che leggono queste righe dovesse esserne urtata, ma la guerra è raccapricciante.

Questa settimana l'Economist ha definito "accidentale" il conflitto scoppiato da una decina di giorni fa. Questa versione dei fatti contrasta con le dichiarazioni israeliane, che vorrebbero lo scontro fomentato dall'Iran per cercare di distogliere l'attenzione internazionale dalla questione del programma nucleare di Teheran proprio alla vigilia del G8 di San Pietroburgo. Versione che abbiamo peraltro già riportato nel precedente post.

L'Economist sostiene che lo sconfinamento delle milizie sciite Hezbollah il 12 luglio scorso, con il raid che ha ucciso alcuni militari dello Stato ebraico e ha portato alla cattura di due soldati, è stato un errore di calcolo del leader hezbollah Hassan Nasrallah. Non era la prima volta che il capo del Partito di Dio ordinava raid simili, avvenuti anche quando in Israele governavano Ehud Barak e Ariel Sharon. In quei casi la risposta degli israeliani era stata sostanzialmente moderata. Perche' questa volta Israele ha deciso di reagire dando inizio a una vera e propria guerra? Il motivo risiederebbe nella debolezza intrinseca del governo guidato da Ehud Olmert. Diversamente dai Barak e dagli Sharon, Olmert non è un eroe di guerra. Dopo il rapimento del soldato a Gaza in un'operazione simile pochi giorni prima, in seguito in entrambi i casi a ritiri militari israeliani, il governo non avrebbe potuto resistere agli attacchi della destra interna, aprendo una fase di pericolosissima instabilità.

E' una spiegazione lineare. Ora il punto è che i conflitti sono incendi che, una volta deflagrati, è difficilissimo estinguere. L'Iran, armando e rafforzando gli Hezbollah, ha messo una vera e propria spina nel fianco di Israele in questi anni. Nessuno degli stati arabi e islamici che circondano Israele ha la capacità di colpire in profondità lo Stato ebraico quanto questo gruppo non statale sciita. Questo vuol dire che Olmert si deve porre l'obiettivo di distruggere per sempre la capacità militare degli Hezbollah. E qui entra in gioco il grave problema della fluidità della sfida terroristica, che rende difficile la riuscita di una risposta militare classica come quella che sta mettendo in atto Israele. Su questo tema delle minacce non statuali alla sicurezza globale, marcopolo tornerà. Intanto, facciamo alcune considerazioni:

1) Per mettere fuori gioco gli Hezbollah, Israele deve riuscire a neutralizzare circa 12mila razzi hezbollah (è una stima al ribasso che circola su diversi media internazionali). Se non vuole farli esaurire per utilizzo (nel senso di farglieli usare, facendoli piovere sul proprio territorio...), deve distruggere i depositi. Ma dove sono questi depositi? E' facile immaginare che gli Hezbollah li tengano in zone fittamente abitate, forse i villaggi libanesi lungo il confine. Questo perche' le vittime civili delegittimano gli attacchi israeliani e proteggono le preziose armi come "scudi umani". In questo senso, la strage è assicurata.

2) Tel Aviv deve riuscire a decapitare gli Hezbollah, uccidendone la dirigenza. Ci sta provando ma, come dimostrano le immagini televisive viste in questi giorni, i bunker dove si nascondono Nasrallah e i suoi assistenti, sono nei quartieri meridionali di Beirut. Cioè in piena città, per gli stessi motivi di cui sopra...e con le stesse conseguenze.

3) Ammesso che questi due obiettivi strategici vengano centrati, poi Israele deve impedire che gli Hezbollah si riorganizzino e si riarmino. Questo vuol dire tagliare i collegamenti con Teheran. Per farlo, dovrà sterilizzare i collegamenti del Libano col resto del mondo: è ipotizzabile?

Insomma, quale che sia la posizione di ognuno, per qualunque delle parti in causa si "tifi", bisogna mettersi in testa che questa guerra va fermata a tutti i costi: non è ipotizzabile che nel medio e lungo periodo ci siano vincitori. Anche perche' ci sono già segnali pericolosissimi di allargamento del conflitto. Secondo il sito Debkafile, legato ai servizi israeliani, il comando militare delle operazioni hezbollah in Libano è stato assunto dal comandante delle Guardie della rivoluzione (Pasdaran) iraniane brigadier generale Yahya Rahim Safavi e il presidente siriano Bashar Assad ha già messo in allerta le sue forze armate dal 20 luglio, perche' teme operazioni militari israeliane contro sue postazioni, per riuscire a bloccare il flusso di armi iraniane agli Hezbollah. Mai come questa volta, fermare la guerra deve essere non solo un'affermazione di principio, ma un preciso obiettivo strategico.

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giovedì, luglio 20, 2006

Il ruolo dell'Iran nel conflitto

Allora, prima di tutto, marcopolo mette le manone avanti. Quando si scrive di queste cose (Iraq docet), non si è mai certi di niente: non si sa mai se si sta accedendo a informazione, controinformazione o disinformazione. Quindi, oggi raccontiamo questa ricostruzione dell'origine del nuovo conflitto israelo-libanese preavvertendo che è UNA ricostruzione. La certezza che sia realistica o falsa il tempo, o forse neanche il tempo, ce la darà.

Protagonista della storia è il carismatico leader delle milizie sciite libanesi Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo la rivista Intelligence Online, di solito ben informata, Nasrallah il 4 luglio scorso si è recato a Damasco, la capitale della Siria, con la scusa d'incontrare il nipote del defunto ayatollah Ruhollah Khomeini. Scopo del viaggio era tutt'altro: prendere ordini per realizzare un piano pensato a Teheran con il benestare di Damasco.

Nasrallah sarebbe andato nella capitale siriana accompagnato dal suo numero due, Hassan Khalil. Nell'ambasciata iraniana avrebbe incontrato il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza iraniano Ali Larijani, conosciuto anche come negoziatore nella crisi nucleare iraniana, e altri importanti esponenti militari e dei Pasdaran. In quell'occasione il leader degli Hezbollah avrebbe avuto il preciso ordine di rapire i soldati israeliani, com'è accaduto poi il 12 luglio scorso. L'ordine, in un secondo momento, avrebbe ricevuto anche l'avallo del presidente siriano Bashar Assad.

Da un punto di vista operativo, Teheran avrebbe immediatamente fornito alle milizie sciite libanesi 250 esperti di missili dell'esercito iraniano e un migliaio di Pasdaran in vista dell'attacco.

Su questa versione marcopolo vuole fare alcune considerazioni:

1) Se fosse vera, sarebbe facilmente ipotizzabile che il rapimento del soldato israeliano a Gaza da parte di uomini di Hamas ha un'origine eterodiretta molto simile;
2) Questa versione rafforza le affermazioni israeliane, secondo le quali l'operazione sarebbe stata voluta dall'Iran per sviare l'attenzione dalla questione nucleare;
3) La versione potrebbe essere anche originata da servizi o fonti israeliane o di altra natura, per carità. Comunque accredita l'idea che Iran e Israele si stanno confrontando come potenze regionali e che questo in corso è solo un episodio di un conflitto che sarà ben più lungo;
4) C'è tuttavia un'altra considerazione che è stata fatta da Debkafile, un sito internet considerato vicino ai servizi dello Stato ebraico: è in corso una partita di poker tra Washington e Teheran che passa sulle teste di Israele e Libano.

Insomma, tutto ci fa comprendere come qua la questione è ben più grossa sia dell'eliminazione degli Hezbollah o della caduta in Palestina del governo di Hamas, sia dei razzi katyusha lanciati sulle città israeliane.

Infine due notizie di cronaca. La prima riguarda le operazioni militari di terra in Libano, che secondo Debka sarebbero ben più estese di quanto ufficialmente Israele non ammetta. La seconda viene dalle forze israeliane, secondo le quali i razzi lanciati dagli Hezbollah avrebbero superato quota 1.600, pari al 50 per cento della forza di fuoco stimata della milizia sciita libanese.

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mercoledì, luglio 19, 2006

Iniziata un'altra fase della guerra in Medio Oriente

L'incendio mediorientale continua a proporre fiammate sempre più intense e deflagranti. Si gioca sul filo di un conflitto che, in futuro, può avere connotati apocalittici. Una potenza nucleare (Israele) si confronto con una futura potenza nucleare (Iran) sullo scenario di una regione in piena e indiscutibile guerra.

Marcopolo, dopo una breve pausa, intende tornare sull'onda del ragionamento in quel Medio Oriente che affolla i nostri notiziari. I fatti sono noti: Israele ha lanciato un'operazione militare a Gaza, dove ha anche arrestato ministri del nuovo governo palestinese di Hamas, e in Libano dopo una serie di rapimenti di soldati. In risposta il movimento sciita libanese Hezbollah ha iniziato un fitto lancio di razzi sulle città israeliane più vicine al confine.

Il balletto di accuse e controaccuse rende ancora impossibile connotare un quadro delle responsabilità. La provocazione di Hezbollah e dei militanti palestinesi c'è stata. La risposta a suon di bombe su Beirut e il Libano e di operazioni violentissime a Gaza pure. L'Unione Europea, e l'Italia finalmente allineata alla posizione europea, hanno definito gli attacchi israeliani "sproporzionati".

Secondo marcopolo, in questa fase, appare cruciale capire quali sono i motivi profondi, al di là del rapimento di tre militari, che dirigono questa fase politica. Secondo l'accusa israeliana, condivisa anche dai paesi occidentali e da molti analisti, dietro Hezbollah e il suo leader Nasrallah c'è la potenza sciita iraniana e la Siria baathista, da tempo alleata di Teheran. Un'accusa partita da analisti israeliani è che Teheran avrebbe ordinato le provocazioni anti-israeliane per distrarre la comunità internazionale dai suoi sforzi di dotarsi dell'arma nucleare. Se così fosse, vorrebbe dire che gli israeliani hanno abboccato al giochino, visto che effettivamente oggi si parla di Libano e Gaza, non più delle bombe di Teheran.

Marcopolo invece la pensa diversamente. Intanto, che Hezbollah sia un fantoccio nelle mani degli iraniani o anche dei siriani (sunniti!), non è affatto detto. La questione appare più complessa. Ma l'impressione di chi scrive è che in realtà l'obiettivo che Israele persegue è un po' diverso. Tel Aviv si sente in guerra e in effetti lo è da sempre. Sembrerebbe quasi che, di fronte al montare della potenza regionale sciita iraniana (aiutato anche dallo sciagurato intervento americano in Iraq), Israele abbia colto l'occasione delle provocazioni per cercare di disarmare gli Hezbollah che, coi loro razzi, in caso di guerra con l'Iran (considerata da molti settori israeliani come inevitabile da qui a pochi anni), aprirebbero un fronte pericolosissimo per lo Stato ebraico.

In questo scenario, fa paura l'inettitudine politica che stanno dimostrando gli Stati Uniti. Sono passati dall'inquietante interventismo del post-11 settembre, culminato nella fallita politica rispetto all'Iraq, a un senso d'impotenza che impedisce loro anche di porre un freno a un alleato in gran parte dipendente dai loro aiuti militari ed economici.

Sotto questo punto di vista, sarebbe ora che l'Europa battesse un colpo. Magari operando di concerto con la Russia di Vladimir Putin che, da quelle parti, ha ancora una qualche voce in capitolo.

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