lunedì, maggio 14, 2007

Morte Dadullah duro colpo ai talebani


La morte di Dadullah, secondo quanto dice la maggior parte degli osservatori internazionali, non raprresenta un grande problema operativo per i talebani in Afghanistan. Tuttavia, è chiaro che l'uccisione da parte dei soldati afgani e NATO del capo militare con una gamba sola avrà un effetto psicologico importante sul morale dei guerriglieri islamici.
Forse è per questo che il mullah Omar, il capo indiscusso del movimento, oggi ha fatto sentire la sua voce. Oltre a celebrare Dadullah, Omar ha detto che la sua morte "non creerà problemi alla jihad talebana" . Chi pensa che i talebani siano dei pecorari fanatici, si sbaglia. L'intervento di Omar è studiato strategicamente e serve a serrare le fila.

Dadullah, infatti, non è uno di quei capi tribali che si guadagnano la fiducia dei suoi comprandone i servigi a suon di dollari, ha spiegato su Asia Times Syed Saleem Shahzad. E' sempre stato uno in prima fila nei combattimenti. E, sotto il suo comando, i talebani sono riusciti a prendere la parte preponderante dell'Afghanistan sud-occidentale.

Ora potrebbe riemergere, accanto a Omar, la figura di Jalaluddin Haqqani. Cosa cambia? Probabilmente qualcosa d'importante. Haqqani, infatti, è considerato meno vicino al Pakistan di quanto lo fosse Dadullah. Staremo a vedere.

Etichette:

lunedì, aprile 02, 2007

I nuovi capi di al Qaida


Una nuova generazione di leader di al Qaida è salita al potere. A scriverlo è oggi un articolo ben documentato del quotidiano statunitense New York Times, che fa il punto sulla situazione del "brand" terroristico più duramente avversato, a parole, dagli Stati uniti.

Dopo la cattura o la morte di molti dei leader che hanno progettato l'attentato dell'11 settembre, nelle province tribali del Pakistan, dove coabita coi talebani, al Qaida si è riorganizzata. I servizi d'intelligence occidentali, partendo dal fallito maxi-attentato agli aerei in partenza da Londra, che doveva avvenire l'estate dell'anno scorso, hanno potuto mettere insieme un possibile nuovo organigramma dell'organizzazione fondata da Osama bin Laden.

A coordinare l'attacco poi abortito sarebbe stato Abu Ubaidah al Masri, un egiziano veterano delle guerre d'Afghanistan. Ma costui sarebbe solo una delle nuove figure di al Qaida che tengono in piedi la struttura. Secondo la CIA ormai al Qaida è un insieme di snodi, di "hub" terroristici, che non dipendeno più da un legame diretto con Ayman al Zawahiri o con Osama bin Laden.

Etichette: ,

mercoledì, settembre 13, 2006

Osama è vivo e si sposta liberamente


Avvertite George W. Bush che il suo vecchio amico Osama Bin Laden è stato recentemente visto scorazzare liberamente per le strade pachistane. Non è uno scherzo, ma informazioni pubblicate in esclusiva da Asia Times Online, secondo le quali il capo di Al Qaidda si sarebbe recentemente trasferito dal Waziristan meridionale, nell'area tribale del paese guidato da Pervez Musharraf, all'Afghanistan orientale (province di Kunar e Nuristan, oppure a Bajour, una piccola agenzia tribale pachistana lungo la frontiera di Nordovest).

Lo sceicco avrebbe viaggiato in un grosso camio, non in convoglio, scortato da pochissime guardie. Secondo quanto scrive Atol, riportando informazioni provenienti da ambienti vicini ad al Qaida, Osama starebbe in buone condizioni di salute, essendosi ripreso da gravi problemi ai reni.

Etichette: , ,

domenica, settembre 10, 2006

Torna Omar, se ne va al Sistani


In questi giorni di trionfalismi "libanesi" e di dibattiti un po' provinciali, da italietta incapace di valutare la portata degli eventi che si susseguono tra un'opposizione che dice "no" per ripiccuccie infantili e una maggioranza che si fa opposizione da sola, stanno avvenendo fatti di portata enorme nei due teatri di guerra che hanno visto e ci vedono impegnati direttamente: l'Afghanistan e l'Iraq.

Afghanistan

Le notizie di oggi parlano di un governatore provinciale ucciso da un kamikaze e di un'attacco della Nato nel sud del paese, costato la vita a un soldato dell'Alleanza atlantica e a 94 miliziani. Roba di tutti i giorni, si può dire, in quella che è una guerra guerreggiata mai conclusa veramente. Eppure è il contesto che sta prendendo contorni sconvolgenti.

L'Afghanistan sembrava una guerra ormai vinta: li ricordate i profeti entusiasti della Pax Neoconservatrice celebrare l'Afghanistan libero e democratico? Beh la guerra non solo non era ancora vinta, ma gli Stati Uniti e la Nato sembrano star facendo di tutto per perderla. Per esempio, hanno messo sul terreno solo 40 mila uomini. La Nato sta chiedendo ai paesi membri uno sforzo di altri 2.000-2.500 uomini, ma ci vorrebbe ben altro per controllare il territorio. In Iraq solo gli americani hanno 140mila soldati...

Sul terreno le cose si mettono male, anche perché il vecchio tutore dei talebani, il Pakistan, sta tornando alle vecchie posizioni pre-11 settembre. Il generale Pervez Musharraf non è mai stato così debole: puntellandosi ai partiti islamici, cerca di resistere agli attacchi che gli vengono da ambienti militari sempre più ostili e sempre più vogliosi di rimettere a Kabul qualche fantoccio manovrabile. Il tutto mentre le zone tribali al confine con l'Afghanistan, il Waziristan, restano al di fuori del controllo di Islamabad.

Il Pakistan ha di fatto siglato una tregua coi talebani. Secondo le notizie diffuse dall'intelligence Usa, il capo dei talebani, il misterioso mullah Omar, si nasconderebbe (ma mica tanto nascostamente...) proprio in quelle zone tribali pachistane. Islamabad avrebbe ormai rinunciato a dare la caccia a lui e agli uomini di al Qaida (tra cui forse Osama Bin Laden e Ayman al Zawahiri).

L'accordo, spiega in una corrispondenza per Asia Times Online il giornalista Syed Saleem Shahzad, prevederebbe anche la liberazione di una serie di uomini di primo piano di al Qaida e dei talebani, prigionieri in carceri pachistane. Tra questi Ghulam Mustafa, considerato il capo qaedista in Pakistan.

Da un punto di vista meramente militare questo accordo mette i talebani in condizioni di essere più tranquilli nei loro attacchi contro le forze della coalizione in Afghanistan. Shehzed sostiene che ormai i talebani hanno di fatto il controllo sulla gran parte dei settori sudoccidentali del paese, da dove presto Omar dovrebbe annunciare al mondo la rinascita dell'Emirato islamico d'Afghanistan (nome ufficiale del apese sotto i talebani). Dopodiche' dovrebbe iniziare, probabilmente la prossima primavera, la nuova avanzata verso Kabul.

La popolazione, se nella gran parte del paese continua a essere ostile ai talebani, comincia tuttavia preferirli agli occidentali. Il motivo è semplice: della ricostruzione promessa sono arrivate solo le briciole, mentre la fallimentare politica anti-narcotici ha tolto la sussistenza a molti contadini poveri. Secondo il think tank Senlis Council, siamo a una vera e propria crisi umanitaria. Attorno a città come Kandahar, un tempo roccaforte dei talebani, ci sono ormai accampamenti di disperati affamati. In questo contesto, rischia di passare un messaggio dei talebani: quando noi eravamo al potere eravate meno liberi, ma almeno non morivate di fame.

Iraq

Le cose non vanno affatto meglio in Iraq. Secondo le notizie che filtrano dal teatro, gli Stati Uniti avrebbero di nuovo perso il controllo reale (ma l'hanno mai avuto?) del cosiddetto "Triangolo sunnita", cioè di quell'area che comprende le città di Ramadi, Fallijah, Haditha. Si tratta dell'area in cui gli americani hanno perso circa 1.000 degli oltre 2.600 soldati persi in questa guerra. Questo nonostante abbiano di fatto raso al suolo Fallujah e disposto ingenti forze nella provincia. Peraltro, si tratta di una zona cruciale per i collegamenti: la provincia di al Anbar confina con Giordania, Siria e Arabia saudita e vi passa l'autostrada tra Amman e Baghdad. Lungo quest'arteria, diverse zone sono sotto il controllo dei ribelli, che attaccano liberamente i convogli americani.

I residenti sono sempre più arrabbiati con gli americani. Oltre al fatto che questa è zona sunnita, e i sunniti hanno molto da rimproverare agli statunitensi che hanno di fatto messo l'Iraq nelle mani di sciiti e curdi, c'è anche il fatto che, oltre alla distruzione di Fallujah, ora stanno radendo al suolo parte della città di Ramadi per rendere più agevole il controllo della sicurezza delle loro postazioni. E usano sempre il pugno pesante nei rastrellamenti.

La cosa più enorme, tuttavia, è accaduta da un punto di vista politico e sul fronte sciita. Lo ricordate il grande ayatollah Ali al Sistani? E' quel signore con la lunga barba bianca e il turbante nero, massima autorità religiosa del mondo sciita assieme agli altri due grandi ayatollah Ali Khamenei e Ali Akbar Montashemi, che nei due anni scorsi è stato il vero motore della politica irachena e ha permesso di sperare in una svolta democratica.

E' stato lui a imporre agli sciiti iracheni una collaborazione "onorevole" con le forze d'occupazione statunitensi, pur essendo contrario alla loro presenza. E' stato lui a bloccare ben due rivolte capeggiate dal più giovane, focoso e intraprendente Muqtada al Sadr. E' stato lui, ancora, a dire agli iracheni che andare a votare è "un dovere religioso". Addirittura a dire alle donne che, se i loro mariti avessero impedito loro di andare al voto, avevano il diritto di disubbidire. E' stato lui a coagulare le forze politiche sciite (da al Dawa allo Sciri) in un'alleanza che ha portato alla formazione del governo di Nour al Maliki.

Ebbene, questo grande religioso (nient'affatto moderato: cerchiamo di essere chiari!) dal passaporto iraniano e dall'accento persiano, pare che sia molto deluso dalla piega che ha preso la situazione. Nel paese si susseguono rapimenti, uccisioni (alcune mirate, altre meno), violenze tra sciiti e sunniti, ma anche tra milizie diverse sul fronte sciita. Nel rapporto col nuovo tutore del paese, l'Iran, nonostante l'immutata ed enorme deferenza etico-religiosa nei confronti di Sistani, sembra sempre più guadagnare punti al Sadr. Insomma, il disegno gradualistico del vecchio ayatollah sembra essere sfociato nel caos. Sistani ne ha preso atto e si è fatto da parte. "Non sarò più un leader politico. Sarò contento di ricevere richieste solo su questioni religiose", ha detto in questo weekend. "Non sono in grado - ha detto ancora - di fermare la guerra civile".

Etichette: , , ,

giovedì, giugno 01, 2006

Afghanistan, un generale accusa: americani hanno sparato sulla folla

Vabbe', abbiamo da condurre povere popolazioni oprresse sulla via luminosa della Democrazia. Vabbe', siamo lì per aiutarli, per liberarli dal giogo di regimi tirannici. Vabbe', il nostro impegno è di portarli sulla via della Libertà. E però sarebbe bene portarceli da vivi...

Abbiamo parlato del massacro di Haditha (Iraq), per il quale sono accusati soldati statunitensi. Oggi parliamo di un altro episodio che sta facendo discutere l'opinione pubblica mondiale. Il 29 maggio, lunedì, soldati a stelle e strisce hanno aperto il fuoco contro la folla, durante una manifestazione a Kabul, uccidendo quattro persone. Oggi il New York Times riporta le dichiarazioni di un alto ufficiale della polizia stradale afgana, il generale Amanullah Gozar, che puntano il dito contro i soldati americani.

Tutto nasce da un incidente stradale. Un camion dell'Esercito Usa si va a schiantare contro una station wagon in una strada nella parte settentrionale della capitale afgana. Quando il generale arriva sul luogo, vede i soldati impegnati nel soccorrere alcuni civili coinvolti nell'incidente, che ha provocato tre morti. Intanto, attorno, si comincia a creare una piccola folla di civili inferociti, alcuni cominciano a tirare pietre. "I primi veicoli americani che sono arrivati, sparavano in aria. L'ultimo, però, ha sparato contro la folla", dice Gozar. A quel punto i soldati sono scappati, lasciando sul terreno altri quattro civili morti.

Il generale ha fatto rapporto al presidente Hamid Karzai, puntando il dito contro l'arroganza, afferma lui, degli americani, che guidano non rispettando i requisiti minimi di sicurezza, non permettono alle altre auto di superarli. Tutto questo sta esasperando gli afgani, a detta del generale. Inoltre, accusa ancora Gozar, i soldati hanno impedito alla gente di andare a soccorrere i feriti nell'incidente in questione.

Gli americani affermano che a sparare non sono stati loro per primi, ma che hanno risposto al fuoco. Di certo Gozar è un testimone credibile. Era lì perche' ha la casa che dà proprio su quella strada. E' un potwente comandante dell'Alleanza del Nord, non ha accettato le lusinghe delle fazioni anti-americane in passato ed è rimasto un fedelissimo del presidente Hamid Karzai, alleato degli occidentali. Anzi, ha più volte criticato la mollezza della polizia afgana nel reprimere le manifestazioni violente.

L'episodio è l'ennesima riprova di una situazione d'instabilità estrema in un paese che dalla guerra non è ancora uscito. Basta un incidente stradale per far salire la tensione e creare una carneficina. Da lunedì, tra l'altro, si asono susseguite una serie di manifestazioni anti-americane, in cui ci sono stati 12 morti e 380 feriti...tutto questo mentre i talebani continuano la loro campagna di primavera e nel sud del paese si susseguono attacchi.

Alcune link per saperne di più:

Agence France Presse
Associated Press
Npr
Sidney Morning Herald
Associated Press 2

Etichette: ,

sabato, maggio 20, 2006

Al Qaida, il nuovo capo è il mullah Omar?


Cosa si muove dentro al Qaida? Uno squarcio di luce lo dà ancora una volta Syed Saleem Shahzad, il giornalista di Asia Times che sta facendo un gran lavoro per spiegare quel che sta accadendo nella zona grigia di confine tra Afghanistan e Pakistan.

Syed afferma, nel suo ultimo articolo pubblicato, che Osama Bin Laden sarebbe ormai il passato di al Qaida. Non che sia morto, semplicemente ha finito i denari. Pur mantenendo la sua potenza evocativa nel mondo islamico, lo sceicco avrebbe ormai lasciato la palla al capo dei talebani, il mullah Omar.

Questo - spiega il giornalista pachistano - implica il fatto che al Qaida (tuttora "molto attiva sul terreno") ha cambiato la sua natura globale e si è inserita all'interno dell'attività jihadiste non più in una posizione sovraordinata. Non è più ormai ne' il banca di finanziamento, la Goldman Sachs del terrore, ne' il brand terroristico da appiccicare sui colpi jihadisti, se non per l'immaginazione dei nostri media.

Il motore dell'organizzazione, che come mission mantiene quella di promuovere la jihad gloobale "dal Khorasan a Gerusalemme", è il dottor Ayman al Zawahiri, mentre Osama resta sempre più defilato avendo perso negli anni la sua principale arma: i soldi.

Syed racconta, avendolo saputo dalle sue fonti, anche di una visita da parte di tre emissari di Abu Musab al Zarqawi, il capo di al Qaida in Iraq, ad al Zawahiri e Bin Laden, che sarebbero nell'area tribale del Waziristan settentrionale, non controllata da Islamabad ma ormai di fatto nelle mani dei talebani.

Zawahiri avrebbe mandato a dire al giovane giordano che è ora di smetterla con gli attacchi contro gli sciiti, visto che i fratelli islamici non devono attaccare gli altri fratelli islamici, anche se "tafkiri" (cioè non wahhabiti). Per il vertice qaedista sciiti e sunniti devono fare fronte comune contro i veri infedeli: le forze straniere guidate dagli statunitensi.

A giudicare dalle notizie che arrivano oggi da Baghdad (attentati contro gli sciiti a Sadr City) questo invito non è stato raccolto. O non è arrivato al giordano.

Alcune link dalla Blogosphere per saperne di più

http://edstrong.blog-city.com/power_shift_at_the_top_of_alqaeda.htm
http://intellibriefs.blogspot.com/2006/05/mulla-dadullah-international-terrorism.html
http://www.newshounds.us/2006/05/04/mullah_omar_oh_where_could_he_be_does_the_president_even_care.php http://www.jihadwatch.org/archives/011289.php
http://embedded.blogosfere.it/2006/05/il_mullah_omar_.html
http://www.inthebullpen.com/?p=4424
http://intelligence-summit.blogspot.com/2006/05/new-commander-key-to-taliban-spring.html


Etichette: ,

giovedì, maggio 18, 2006

Afghanistan, offensiva di primavera dei talebani


La cifra ufficiale che forniscono le autorità afghane fa accapponare la pelle: 104 morti solo nelle ultime 24 ore. Una giornata di violenze e attacchi ha interessato l'Afghanistan, ennesima puntata di una guerra che ormai dura da poco meno di cinque anni.

Cosa sta succedendo? Molto semplice: è iniziata la "campagna di primavera" dei talebani. Che sarebbe successo era ovvio, ce n'erano tutti i segnali. Anche noi italiani, con un attacco a una pattuglia a Kabul in cui sono morti due soldati, avevamo rilevato questi segnali.

Soprattutto lo sapeva il presidente afgano Hamid Karzai, che più volte ha fatto appello ai talebani perche' rinuncino agli attacchi e si uniscasno agli sforzi per ricostruire il paese. Karzai ha anche definito, in occasine del 14mo anniversario della vittoria dei mujaheddin sulle truppe d'occupazione sovietiche, i talebani vittime delle strumentalizzazioni di stranieri (Al Qaida?) e ha ricordato che l'Islam vieta di uccidere i civili innocenti. Non è servito...

Etichette:

venerdì, maggio 05, 2006

Attacco a italiani: cosa succede in Afghanistan?


Hanno colpito ancora. Due soldati italiani sono rimasti uccisi a bordo di un blindato Puma in Afghanistan, lungo una strada a sud di Kabul nota per essere particolarmente pericolosa. Mentre marcopolo scrive queste brevi considerazioni, gli scorre davanti il solito patetico flusso di dichiarazioni stereotipate da parte di politici, politicanti e mezzetacche che, con accenti un po' necrofili, cercano di trarre vantaggio dalle disgrazie nazionali.

E' amaro dover registrare queste altre vittime. Proprio per ricordarle degnamente, marcopolo non può fare altro che il suo lavoro: ragionare su quel che sta accadendo in Afghanistan.

Ricordate? Ne abbiamo parlato a marzo. Oggi cerchiamo di fare un attimo il punto della situazione, di capire qual è il quadro in cui si incastona questo attacco. Già si fanno ipotesi. Una di queste, che sarebbe avallata anche da un rapporto del Sismi di cui hanno parlato diversi media, vorrebbe l'attacco afgano come l'ennesimo colpo all'Italia in un momento interlocutorio dal punto di vista politico, di passaggio di consegne da una maggioranza all'altra, per cercare di far ritirare le nostre forze dai diversi teatri. Certo, il Sismi è una voce che spesso si leva per incidere sulle nostre politiche, piuttosto che per informare i policymaker, secondo quanto affermano Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo nel loro Il mercato della paura.

Il quadro della situazione può dare tuttavia alcune risposte non necessariamente convergenti all'ipotesi dell'atacco mirato. Intanto poniamo un dubbio: chi l'ha detto che l'obiettivo fossero gli italiani e non semplicemente le forze della Coalizione, che non necessariamente agli occhi di un afgano o un pachistano sono così facilmente distinguibili.

Nel mondo dei juhadisti - scrive in un articolo apparso oggi su Asia Times un giornalista pachistano con ottimi agganci, Syed Saleem Shahzad - sono convinti che entro la fine dell'anno il mullah Omar (nella foto di mezzo), il leader dei talebani, sarà di nuovo al potere a Kabul. Un'idea probabilmente prpagandistica, ma è innegabile che i jihadisti soo di nuovo all'attacco.

Al Qaeda, in particolare, dopo quasi cinque anni in ritirata, sembra aver ritrovato un certo attivismo. Secondo Shahzad la leadership del gruppo avrebbe avrebbe attivato i "volontari" kamikaze pachistani per andare a colpire dentro e fuori dall'Afghanistan. I recenti messaggi del numero due del brand terrorista Ayman al Zawahiri e dello stesso Osama Bin Laden sembrano essere una specie di chiamata a raccolta. E' come se volessero dire che al Qaeda è ancora viva e attiva.

Ma la chiave di questo nuovo attivismo terrorista va cercata in Pakistan più ancora che in Afghanistan. Non è un caso che gli aspiranti kamikaze arrestati nel fallito attentato di Kandahar, poco tempo fa, fossero provenienti da Karachi via Quetta: si tratta di due città dove ci sono sperimentate reti jihadiste e dove sono stati arrestati importanti esponenti di al Qaeda che lì erano di casa.

Il "safe heaven" di talebani e al Qaeda al momento sembra essere il Waziristan settentrionale, in territorio pachistano, che ormai è conosciuto come "Stato islamico del Waziristan". Da lì partono incursioni e attacchi contro il debole potere afgano, nella cornice dell'ormai classica offensiva di primavera, che quest'anno sembra particolarmente incisiva. Ma si sviluppa anche una strategia d'indebolimento del generale-presidente Pervez Musharraf in Pakistan, indicato da al Zawahiri come un traditore corrotto. Al Qaeda e i talebani, insomma, non hanno affatto perso la capacità operativa di sviluppare una strategia complessa, militare e politica, in grado di mettere in difficoltà gli americani che, a questo punto, potrebbero agire col pugno di ferro, correndo il rischio di fare molte vittime civili.

Qualcuno dovrebbe chiedersi se, anche nel caso dell'Afghanistan come in quello dell'Iraq, non sia stato troppo precipitoso a decretare una vittoria che al momento ancora non è assicurata.

Etichette: ,

domenica, aprile 23, 2006

Torna Osama, il mercante del terrore


Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sul fatto che al Qaida stia tentando di appiccicare la sua etichetta anche sulla questione palestinese, oggi può metterlo da parte. A fugare questi dubbi è arrivato oggi il capo stesso del gruppo (ma si può chiamare così? forse potremmo chiamarlo "brand") terroristico: Osama Bin Laden.

Un nastro audio è stato diffuso dalla rete satellitare pan-araba al Jazeera. La voce apparirebbe essere proprio quella dello sceicco. Tra gli inviti al jihad, spicca una dichiarazione dal contenuto squisitamente politico e tatticamente molto efficace. Bin Laden sostiene che la decisione dell'occidente di tagliare gli aiuti all'Autorità nazionale palestinese, dopo la vittoria elettorale del gruppo radicale islamico Hamas, dimostra che è in corso "una guerra di crociati (ndr: cristiani) e sionisti (ndr: ebrei) contro l'Islam".

L'operazione è sottile. Hamas ha sempre rigettato legami con al Qaida. Il gruppo radicale è legato alla Fratellanza islamica egiziana (ma, in fondo, anche Ayman al Zawahiri, il numero 2 di al Qaida, proviene dalla Fratellanza...). Più volte gruppuscoli locali hanno affermato di fare riferimeto ad al Qaida, ma nessuno di questi ha mai avuto la portata di Hamas.

Invece, da tempo ormai, Hamas sta approfondendo i rapporti col mondo sciita. Ha cominciato con gli Hezbollah libanesi, ammirati per essere stati uno dei fattori che hanno spinto Israele a lasciare il Paese dei Cedri. Poi questi legami si sono allargati allo stesso Iran, che si è affrettato nei giorni scorsi a promettere ad Hamas 50 milioni di dollari in aiuti.

Resta da capire se e quanto Teheran abbia intessuto relazioni con la galassia fondamentalista che fa riferimento a Bin Laden. Nei giorni scorsi Mahmoud Ahmadinejad, il pasdaran presidente della Repubblica islamica, ha dichiarato che, in caso di attacco militare contro l'Iran, ha pronto un battaglione di decine di migliaia di kamikaze pronti a "operazioni di martirio". Questa comunanza di strumenti, certo, non dice quasi nulla su un eventuale avvicinamento tra Iran e al Qaida, che non si sono mai visti troppo di buon occhio, ma la dice lunga su quanto le scintille in Medio Oriente mettano a rischio anche le nostre città.

Di certo, una gran familiarità con l'utilizzo dei kamikaze (o con la strumentalizzazione di essi, soprattutto dopo che hanno portato a termine attentati) ce l'ha al Qaida. Osama, anche nell'audiocassetta diffusa oggi, ha posto obiettivi strategici. "Mi rivolgo ai mujaheddin e i loro sostenitori, specialmente in Sudan e nella penisola araba, perche' si preparino a una lunga guerra contro gli invasori crociati in Sudan occidentale. Il nostro scopo non è difendere il governo di Khartoum, ma difendere l'Islam, le sue terre e la sua gente", dichiara lo sceicco facendo riferimento alla questione del Darfur e alla missione Onu che lì opera. Proprio in Sudan Osama s'era rifugiato prima di trovare accoglienza nell'Afghanistan dei talebani.

Ah, il messaggio ci dice anche un'altra cosa: Osama è vivo e lotta contro di noi.

Etichette: ,

giovedì, marzo 30, 2006

Benvenuto Abdul!


Dunque Abdul Rahman, l'afgano convertito al cristianesimo che era stato condannato a morte nel suo paese, è in Italia. Degna iniziativa del nostro paese, che ha contribuito a salvare la vita a quest'uomo. E' sempre importante quando ci muoviamo per questi principi.

Tuttavia, va sottolineato, resta un caso in cui siamo riusciti a intervenire. E va ricordato che i nostri militari, in quel paese, sostanzialmente contribuiscono al mantenimento di uno Stato che condanna a morte per motivi religiosi.

Inoltre, anche questo voglio puntualizzarlo, non è possibile che parliamo dell'Afghanistan o dell'Iraq ormai solo per "casi esemplari": il rapimenti, il bambino ferito e portato a curarsi in Italia, l'eventuale uccisione di uno o più nostri militari in teatro. Dobbiamo renderci conto che in entrambi i paesi continua un conflitto e noi ci siamo dentro. Quindi, una maggiore attenzione a quel che succede nel mondo, senza semplificazioni sceme (tipo: i cinesi bollivano i bambini) sarebbe per tutti noi doverosa.

Etichette: ,

martedì, marzo 28, 2006

Abdul Rahman forse si salva, la nostra coscienza no


Abdul Rahman è stato liberato. Era un atto previsto e prevedibile. Ed era quasi un atto dovuto anche l'offerta di asilo politico che l'Italia ha fatto. Ma servirà? Intanto, non è detto che l'uomo accetti. Speriamo che lo faccia, perche' sarebbe in risultato importantissimo salvare la sua vita. Il problema resta tuttavia intatto: l'Afghanista "liberato" resta a tutt'oggi un paese in cui si applicano alcune norme ispirate al fondamentalismo islamico.

I paesi occidentali, presenti in Afghanistan con forze consistenti avrebbbero tutti gli strumenti per costringere Kabul a modificare questa normativa. Tuttavia, parliamoci chiaro, se lo facessero rischierebbero la destabilizzazione del già oltremodo instabile governo del presidente Hamid Karzai.

Dal punto di vista italiano come si può non vedere una forte contraddizione? Siamo un paese che rigetta con forza la pena di morte e le norme restrittive della libertà religiosa. Eppure, in quel paese sosteniamo un regime che fa proprio queste cose. Ce ne potremmo andare, vero, ma quale sarebbe il risultato? Senza le forze Isaf e senza Enduring Freedom, l'Afghanistan torna nelle mani dei talebani. La verità è che, quando si rompe un nido di vespe, come hanno fatto gli americani, qualche puntura alla fine la si prende...

Etichette: ,

lunedì, marzo 27, 2006

Lo sceicco del terrore e il "matto" di Kabul


Oggi il MarcoPolo voleva occuparsi di Ucraina, Bielorussia, del ruolo che sta riassumento la Russia nei paesi vicini e dipendenti dalle sue forniture di gas. Ma la cronaca l'ha sopraffatto e deve di nuovo parlare di Iraq e di Afghanistan.


Iraq

L'ennesimo attentato suicida, questa volta vicino a Mosul, ha ucciso almeno 40 iracheni, molti dei quali erano reclute dell'esercito. Altre 20 persone sono rimaste ferite. Quando MarcoPolo scrive tante di queste risultano essere in condizioni particolarmente gravi. Il bilancio, insomma, potrebbe crescere ulteriormente. E' l'attentato più sanguinoso del 2006, dopo quello che è costato la vita a 70 persone a gennaio a Ramadi.

A rivendicare l'attentato suicida è, ma queste rivendicazioni vanno sempre prese con le molle, al Qaida. "Un fratello della Penisola di Maometto (Arabia Saudita, ndr), con una cintura di esplosivi, si è lanciato questa mattina contro la base dei crociati situata a nord est della città di Taalafar, e si è infiltrato fra centinaia di reclute prima di farsi esplodere", recita il testo del comunicato. "L'operazione - aggiunge - si è risolta con centinaia di morti e feriti". Si tratta davvero dell'organizzazione di Osama Bin Laden? Di mitomani? Di realtà virtuale? Non lo sapremo mai.

Il bilancio di sangue della giornata, tuttavia, non finisce qui. Almeno 20 cadaveri sono stati ritrovati a Baghdad in due diversi punti della città. Molti avevano corde al collo, erano ammanettati e bendati. L'ennesimo caso di violenza tra sunniti e sciitimolto probabilmente.

E' sempre più una guerra di tutti contro tutti. Lo dimostra l'ultimo episodio avvenuto ieri. Le forze statunitensi, col sostegno di quelle irachene, effettuano un raid violentissimo nella moschea sciita di Mustafah, a Baghdad. Nell'operazione vengono uccise 16 persone, ma la polizia irachena dice 22. Il ministro degli Interni iracheno Bayane Jabr Soulagh definisce il raid "ingiustificato" e accusa: non è vero, come hanno detto gli americani, che le vittime sono ribelli, ma semplici fedeli in preghiera. Il governatore di Baghdad Hussein Tahan convoca una conferenza stampa e minaccia: "Prenderemo misure più decise per preservare la digntà dei cittadini iracheni".

Afghanistan

Anche di quest'altro "hot-spot" della politica mondiale c'è da parlare oggi. Una mina a Helmand, nel sud del paese, ha provocato la morte di tre persone. Quante mine ci sono in Afghanistan? Un'infinità. E' un paese che viene da 30 anni di guerra. Mine sovietiche, cinesi, italiane, americane, continuano a infestare il paese e ogni tanto ne salta una. A pagare il prezzo più elevato sono i bambini, che sono anche i più indifesi e curiosi.

Ma a dominare l'informazione su questo disgraziato paese centro-asiatico, al momento, è un'altra vicenda. Quella del cristiano convertito Abdul Rahman. In Italia ne stiamo facendo una bandiera, ha fatto un appello anche il papa Benedetto XVI. Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini giorni fa era intervenuto e aveva cantato vittoria affermando che l'uomo era ormai salvo. Cosa era accaduto? La pubblica accusa aveva decretato che Abdul è matto...Non erano stati considerati alcuni elementi: il primo, la testardaggine dell'uomo che non vuole essere considerato matto, ma rivendica la sua conversione (vocazione al martirio); il secondo, la piazza che di Abdul vuole la testa.

Dopo che ieri la Corte suprema afgana ha ordinato una nuova inchiesta (che può voler dire scarcerazione per Abdul, ma anche nuova condanna a morte), oggi centinaia di persone sono scese in piazza a Mazar-i-Sharif. Non per chiedere di salvare la vita all'apostata, ma per chiederne l'uccisione. C'è un braccio di ferro in corso, intanto, tra il governo di Hamid Karzai, il debole presidente afgano conosciuto sprezzantemente anche col nomignolo di "sindaco di Kabul", e le autorità religiose del paese. Karzai non può permettersi di avere cattiva stampa in occidente. I mullah non ci pensano neanche a farsi scappare una bella esecuzione che faccia da lezione ai eventuali anime poco accorte al Messaggio del Profeta.

Viene anche alla luce il contesto in cui è nata la vicenda. Secondo il quotidiano arabo Elaph, la conversione di Abdul è avvenuta durantre la frequentazione di un gruppo di volontari che aiutavano i profughi afgani in Pakistan e poi è stata portata a termine in Germania. L'arresto dell'uomo è avvenuto da parte degli stessi familiari che, evidentemente preoccupati che ai due figli dell'uomo fosse negato in futuro il Paradiso in seguito a un'improvvida conversione, l'hanno denunciato. Poi, quando l'uomo è stato addirittura condannato a morte, i familiari hanno testimoniato che l'uomo dava segni di squilibrio. Farlo apparire scemo: un ottimo escamotage per salvargli la pelle e rimuovere il problema. Peccato che Abdul non ci pensi nemmeno a voler passar per pazzo. E, forse, per questo lo è davvero.

Etichette: , ,

domenica, marzo 26, 2006

Abdul e la parabola dell'Afghanistan


Proviamo a chiederci: cosa scriveranno gli storici tra cento anni sui giorni che stiamo vivendo da quel fatale 11 settembre 2001? Parleranno di una nuova "crociata", come si fece scappare il presidente degli Stati Uniti George W. Bush subito dopo gli attentati di New York e Washington, oppure di una serie di conflitti per il controllo delle risorse energetiche? E la guerra in Afghanistan, scoppiata apparentemente come conseguenza diretta di quegli attentati, verrà raccontata come il primo atto della Guerra Globale al Terrorismo o come una delle tante guerricciole per il controllo della Via del Gas, come un tempo si guerreggiava per il controllo della Via della Seta o per la Via delle Spezie?

Idealità e interessi si sono intrecciati in questo lustro di guerre. Ma, forse, più ancora che il conflitto in Iraq, è quello in Afghanistan che rende indivisibile il conflitto di civiltà da quello per il controllo delle risorse (nella vicenda afgana, in verità, per il controllo delle vie percorse dalle risorse).

A cinque anni dall'azione quasi-lampo Usa, dalla fuga in motocicletta del mullah Omar, dalla caccia a Tora Bora di Osama bin Laden, cos'è l'Afghanistan? Partiamo da una considerazione difficilmente smentibile: quella non è una terra che si controlli facilmente. E non parlo solo di morfologia. Paolo Avitabile, l'ex soldato murattiano napoletano conosciuto in quelle terre come Abu Tabela (in verità era governatore a Peshawar che ora è Pakistan...) per star sicuro di tenere sotto controllo quella gente indomabile, per la quale la vita valeva pochissimo, pare impiccasse e impalasse qualche decina di persona al giorno. Altri tempi, oggi ne' l'Isaf (la forza di stabilizzazione Nato al momento comandata dagli italiani) ne' i Prt (Team di ricostruzione provinciale) possono usare questi metodi un po' desueti.

Gli Stati Uniti hanno oltre 18mila uomini in Afghanistan. Per lo più inquadrati nell'Operazione "Enduring Freedom". Non avendo particolare fiducia negli alleati, la caccia a Osama e il tentativo (al momento per nulla riuscito, anzi la guerra si è ormai estesa alle zone tribali del Pakistan) di liberare definitivamente l'Afghanistan dai talebani era demandato a questa missione, mentre all'Isaf era lasciato il conrollo della capitale Kabul. Ma le cose stanno cambiando. Nel vertice Nato di Taormina, quello di cui tanto s'è vantato il ministro della Difesa Antonio Martino, i responsabili della difesa dei paesi Nato si sono detti d'accordo nell'integrazione delle missioni Isaf e Enduring Freedom. Questo vuol dire un rafforzamento delle forze non-Usa in Afghanistan e un allargamento dei compiti di Isaf anche al sud dell'Afghanistan.

I meno disattenti di noi hanno già drizzato le orecchie. Ebbene sì, ci siamo impegnati a dare di fatto il nostro contributo sul terreno ad azioni di combattimento. Perche' il sud dell'Afghanistan, per intenderci, non è un posto dove si portano le caramelle ai bambini. Quella zona, a ridosso della zona tribale con il Pakistan, è tuttora zona di combattimento coi talebani...E la nostra Costituzione che di fatto ci impedirebbe di partecipare a guerre, tanto che ipocritamente dobbiamo definire le nostre operazioni all'estero coi nomi più fantasiosi (operazione di polizia internazionale, missione di "pace", intervento "umanitario")? Superata dai fatti ormai. Vedrete, in questa legislatura qualcuno si alzerà e dirà che è necessario un "aggiornamento" della Carta fondamentale.

In questa cornice desolante, s'inquadra la vicenda del buon Abdul Rahman. Ormai la conoscete tutti: è il quarantunenne condannato a morte perche' si è convertito al cristianesimo. L'intervento delle cancellerie occidentali sembrava avergli salvato la vita, facendo prendere la decisione (ipocrita anch'essa) alla procura afgana di dichiarare l'uomo incapace d'intendere e di volere. Il nostro ministro degli Esteri Gianfranco Fini e il suo collega tedesco se l'erano quasi ascritta come una vittoria personale. Invece sono intervenuti due piccoli problemi, che tanto piccoli non sono. Il primo: l'uomo non vuole rigettare la sua nuova fede. Secondo: la Corte suprema ha oggi deciso che l'indagine va rifatta da capo. Il che vuol dire che l'uomo potrebbe essere rilasciato, ma anche che alla fine potrebbe essere ricondannato a morte. Dal momento, e questo è il problema vero, che in Afghanistan vengono ancora considerati legge alcuni precetti islamici. Ma non avevamo sconfitto il fondamentalismo e portato libertà e democrazia in quel martoriato paese?

Etichette: ,