mercoledì, aprile 19, 2006

La strategia Usa: attenti al pericolo giallo!




MarcoPolo ha con la Cina, come ben sapete, un rapporto particolare. E alle questioni che riguardano la nuova grande potenza che sta emergendo in Asia orientale ci sta particolarmente attenta. Da ieri il leader di questo enorme paese, Hu Jintao, è in visita negli Stati Uniti. E' una visita cruciale per l'uomo forte di Pechino: dai rapporti con Washington deriva la stabilità, statene certi, del mondo intero.

Ma cosa trova dall'altra parte l'uomo di Pechino? "Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale...che ponga una minaccia della grandezza di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica", afferma un documento fondamentale della dottrina strategica statunitense: il Defense Planning Guidance degli anni 1994-1999, primo documento che sancisce gli obiettivi americani dell'era post-sovietica. "Dobbiamo fare in modo - continua il documento - d'impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione con risorse il cui controllo consolidato sia sufficiare a creare un potere globale".

Il documento, redatto sotto la presidenza di George Bush senior, filtrò quando era ancora in fase di bozza. L'opposizione degli alleati degli americani costrinse Washington a metterlo da parte finche', con l'arrivo alla presidenza di Bush figlio, nel febbraio 2001, non ritornò alla vita.

Quando fu redatto, in verità, il nome dell'eventuale rivale era in bianco. Poteva essere la Russia, come la Germania, come l'India o il Giappone. E, ovviamente, poteva essere la Cina. Alla fine, effettivamente, pare che il rivale straegico degli Usa sarà Pechino e, nei suoi confronti, è presumibile che la strategia americana sia quella del "contenimento". A spiegarlo sono stati in questi anni alcuni dei principali collaboratori di Bush, dall'attuale segretario di stato Condoleezza Rice all'esperto di antiterrorismo della Casa Bianca Richard Clarke.

Le vicissitudini della guerra al terrorismo e della guerra in Iraq sembavano aver distratto l'America dall'obiettivo cinese. Ma non è mai stato così e ci sono analisti che vedono nei conflitti in corso un episodio di un confronto di lungo corso proprio tra Washington e Pechino per accaparrarsi le risorse.

Di certo sta che dalla primavera del 2005 gli americani hanno ripreso a battere sul tasto cinese. Il segretario alla Difesa Donald H. Rumsfeld, per esempio, ha lanciato l'allarme sul fatto che la Cina sta rafforzando fortemente il suo apparato di difesa. Pechino non ha fatto molto per smentirlo, fino a effettuare una serie di manovre congiunte con i russi, che mai al tempo dell'Urss erano stati così benevoli con i fratelli comunisti cinesi. Certo, potrà obiettare qualcuno: ma gli investimenti per la difesa di Pechino, per quanto in crescita forte, non sono che una frazione di quelli di Washington.

L'antifona è comunque chiara: Pechino sta agendo per diventare potenza regionale egemone. E questo va contro la dottrina strategica Usa. Washington ha cominciato a muovere le sue pedine. A febbraio 2005 ha firmato con il Giappone una "Dichiarazione congiunta Usa-Giappone per un comitato consultivo sulla sicurezza". In questa dichiarazione si poneva soprattutto la questione di Taiwan, che Pechino considera provincia ribelle, e che Tokyo e Washington considerano loro interesse primario. Contemporaneamente, giova dirlo, gli Usa hanno agito politicamente su Taipei perche' eviti colpi di testa, come una dichiarazione formale d'indipendenza da Pechino.

La Cina, intanto, non è stata a guardare e ha rafforzato la sua posizione in Asia sudorientale (area Asean) e in Asia centrale (Cooperazione di Shanghai), cruciale per gli equilibri geopolitici americani. L'America è in affanno nel tentare di contenere l'influenza cinese in queste regioni e sarà cruciale il ruolo che riuscirà a svolgervi il Giappone. Non è un caso che Tokyo e Washington abbiano anche accelerato il processo d'integrazione delle loro forze armate in chiave di "interoperabilità". Il Giappone, tra l'altro, ha ottenuto la protezione dell'ombrello missilistico americano. Altro alleato chiave nella regione è l'Australia, che in questa maniera gode di una posizione incisiva da un punto di vista geopolitico. E come non sottolineare l'enorme riavvicinameto degli Usa con l'India, sancito dalla visita in America del primo ministro indiano Manmohan Singh, che ha di fatto sdoganato la potenza nucleare indiana alla faccia del principio di non proliferazione? La strategia, insomma, è quella di creare un network di paesi accomunati dalla preoccupazione nei confronti di Pechino.

La strategia di contenimento è stata inoltre sancita ulteriormente dal Quadriennal Defense Review, prodotto dal Pentagono il 5 febbraio scorso, che ha sancito le priorità strategiche per i prossimi quattro anni, riprendendo il documento del '92 di cui si parlava. Gli Usa, spiega, "tenteranno di dissuadere ogni concorrente militare dallo sviluppare capacità distruttive o altre capcità che possano portare a un'egemonia regionale o ad azioni ostili nei confronti degli Usa". Ma questa volta il documento è pià esplicito: "Tra le potenze maggiori ed emergenti, la Cina ha il più grande potenziale di competere militaremente con gli Stati Uniti e tecnologie militari che possono eliminare il tradizionale vantaggio Usa". Musica per le orecchie dell'industria militare a stelle e striscie.

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2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

come la prenderà il berlusca vedendo Bush che stringe la mano ai saponificatori di bambini?
Fossi io al consolato cinese in Italia gli avrei già mandato una cassa di verdure con su scritto "agricoltura biologica, senza uso di concimi chimici".

7:11 PM  
Anonymous Anonimo said...

La Cina e gli USA sono sempre più interdipendenti e le visite reciproche fanno parte di un rituale che se ben sfruttato può anche essere un dialogo. Purtroppo pare che George W. Bush non abbia sfruttato più di tanto il fatto di avere girato da giovane in lungo ed in largo la Cina (il padre era ambasciatore in Cina e George W. ha fatto qualche vacanza in Cina).

2:49 AM  

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