giovedì, settembre 21, 2006

Il presunto attentato di Damasco. Molto presunto.


Esiste una professionalità anche nel preparare e realizzare attentati. E i tizi che, pare, volessero colpire il 12 settembre scorso l'Ambasciata Usa nella capitale della Siria, Damascon, non è che fossero troppo professionali. Anzi, lo sono stati così poco da far sospettare alla rivista specializzata d'intelligence francese Intelligence Online che si sia trattato una pure e semplice montatura dei servizi segreti di Bashar Assad.

Tutto è accaduto il 12 settembre, un giorno dopo la commemorazione dei cinque anni dagli attentati negli Usa. Un gruppo attacca l'Ambasciata Usa con armi automatiche e bombe a mano. Nella sparatoria muoiono tre fondamentalisti e uno muore il giorno dopo. Il regime di Damasco s'affretta ad attribuire l'"attentato" ad al Qaida, che torna sempre utile in queste situazioni.

Allora, Intelligence Online afferma che, secondo sue fonti "credibili", l'operazione sarebbe stata organizzata dai due servizi segreti siriani. Uno di questi, il servizio militare guidato dal generale Amin Charabeh, già in passato ha organizzato operazioni del genere.

Scopo della manovra, secondo la rivista, sarebbe stato il tentativo di mandare un segnale a Washington: non siamo uno stato terrorista e possiamo essere utili nell'assistenza contro il fondamentalismo islamico. Il regime di Assad, il cui partito è il Baath "cugino" del Baath di Saddam Hussein, è laico-nazionalista, ma negli ultimi anni, specie con la recrudescenza del conflitto libanese, è spesso associato alle mire regionali dell'Iran.

Damasco è riuscita a conquistare il plauso degli americani con l'operazione, da questo punto di vista è stato un successo. Però, s'è creato un probemino. Mentre Bashar Assad era favorevole alla manovra, appoggiato anche dal secondo lato del triangolo che governo la Siria, il fratello Maher Assad, il terzo uomo forte del paese, il generale Assef Shawkat no, anche perché l'operazione l'ha messo in difficoltà con i servizi Usa, con cui è in contatto. Pare che Bashar e Maher lo stiano mettendo gradualmente da parte.

La cronaca e la storia hanno sempre più lati. Per avere un'idea di quel che succede nel mondo, bisogna guardarli tutti.

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martedì, settembre 19, 2006

Political division deepens in Lebanese government


In a speech at the first public rally since the end of the Israeli offensive against Lebanon, Hizbullah leader Sheikh Hassan Nasrallah has renewed his attack on anti-Syrian members of the Lebanese government and criticised Prime Minister Fouad Siniora's decision to welcome British Prime Minister Tony Blair to the country, calling Blair "an associate in the murdering" and his visit "a national disaster".

Nasrallah's speech is the latest salvo in a burgeoning war of words between pro-and anti-Syrian members of Lebanon's national unity government. Since the fighting stopped in mid-August, anti-Syrian politicians have become increasingly critical of Hizbullah, claiming that its actions (in kidnapping two Israeli soldiers) dragged Lebanon into a costly and unnecessary war. They also accuse Hizbullah of perpetuating Syria's dominance of the country. Hizbullah, which has two seats in the cabinet, has countered by accusing anti-Syrian forces of siding with Israel and the US against Lebanon.

da Jane's Intelligence Review

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lunedì, settembre 11, 2006

Qualcosa si muove in Palestina: accordo Hamas-Fatah per governo unitario


Il presidente palestinese Abu Mazen, di al Fatah, e il primo ministro Ismail Haniyeh, di Hamas, hanno raggiunto un accordo sul programma politico del prossimo governo di unità nazionale, che sarà formato nelle prossime ore.

"Abbiamo definito un programma politico per un governo di unità nazionale, basato sul documento di intesa nazionale" del 27 luglio, ha dichiarato Abu Mazen. "Nei prossimi giorni - ha aggiunto - formeremo il nuovo governo. Chiediamo al nostro popolo di sostenere i nostri sforzi".

Positiva la reazione del leader di Hamas Haniyeh: "Questo accordo era atteso perché c'era una volontà reale e onesta di raggiungerlo, nell'interesse superiore del popolo palestinese e per rinforzare l'unità nazionale".

Il governo di Hamas, contro il quale Israele ha tenuto una posizione durissima, dovrebbe essere sciolto entro 48 ore. Questo passo è considerato necessario per riaprire uno spiraglio di trattativa tra israeliani e palestinesi.

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venerdì, settembre 08, 2006

Israel lifts its sea blockade of Lebanon after ending air siege Thursday


Israeli warships pulled back from Lebanese shores Friday as Italian naval units moved in under the UN flag.
Prime minister Ehud Olmert and defense minister Amir Peretz were accused of folding under intense pressure from UN Secretary General Kofi Annan without the UN, Lebanon or Hizballah meeting any of Israel’s six conditions for ending the embargo (and accepting the August ceasefire):
1. No sign of life was elicited from Ehud Goldwasser and Eldad Regev, whose abduction by Hizballah July 11, triggered the Lebanon war – or even a Red Cross visit. This has left a bad feeling in the army over the fate of men falling into enemy hands.
2. Hizballah will not be evacuated from South Lebanon or disarmed.
3. The deployment of UNIFIL-2 and its European components in South Lebanon is being used by Olmert and foreign minister Tzipi Livni as a ploy to pull Israel’s troops out of Lebanon without achieving any of their avowed goals.
4. The prime minister’s office in Jerusalem Wednesday night, Sept. 6, cited the UN and US as assuring Israel that UN forces are prepared to begin executing their mission. No mission description was attached to the notice, because the European contingents have made it abundantly clear that they have no intention of disarming Hizballah.
5. Neither are the “peacekeepers” lifting a finger to halt Iranian and Syrian weapons consignments to Hizballah. Indeed the flow of arms has increased since their arrival, making a mockery of UN Resolution 1701 which ordered an embargo on such arms at the same time as it mandated their deployment.
DEBKAfile’s military sources report that the smuggled arms supplies to Hizballah, far from halting have been stepped up. Iran and Hizballah are further pumping arms into the Gaza Strip. This week alone, Palestinian terrorists took delivery of 400 RPG anti-tank rockets and 15 Grad missiles.
Egyptian border forces and European monitors posted at the Rafah terminal provided no bar to the traffic.
Given the missed goals of Israel’s venture into the Lebanon war, it is no wonder that Binyamin Ben Eliezer, minister of infrastructure in the Olmert cabinet and a former defense minister, said bluntly Wednesday Sept. 6 that this was Israel’s worst defeat in all the wars it fought. Domestic criticism of the government spreads day by day as the bizarre, muddled and incomprehensible nature of the prime minister’s war decisions continues to mark his actions three weeks later.

P.s.: Questa notizia proviene da DebkaFile che, notoriamente, è considerato un sito internet vicino ai servizi segreti israeliani.

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domenica, luglio 30, 2006

Qana, un'altra strage degli innocenti

Marcopolo non crede che ci sia bisogno d'alcun commento. Le foto, prese dal sito di Repubblica, documentano il bombardamento israeliaeno a Qana, dove sono morte 55 persone, di cui 34 bambini.















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mercoledì, luglio 26, 2006

Israele manda un messaggio all'Onu. Il contenuto? Esplosivo!


Tra le vittime della guerra israelo-libanese, l'avete visto tutti, ci sono anche le Nazioni Unite. Dopo il ferimento di un sottufficiale italiano del contingente Unifil (Forza d'interposizione Onu in Libano), distaccamento dell'Onu in Libano, avvenuto per un ordigno lanciato dalla milizia sciita Hezbollah, è toccato a quattro caschi blu morire in un attacco da parte delle forze israeliane contro una postazione dell'Onu chiaramente identificabile.

Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha condannato l'"apparentemente deliberato fuoco delle forze di difesa israeliane nei confronti della postazione degli osservatori Onu". Ovviamente s'è beccato la solita salva di critiche, fa parte del compito del capo del Palazzo di Vetro.

Beh, c'è da stupirsi di questo attacco? Se fosse una novità, sì. Ma non lo è. Nel 1996 accadde la stessa cosa. Le forze israeliane bombardarono una postazione Onu a Qana. A morire quella volta furono ben 106 civili libanesi. Il predecessore di Annan, Boutros Boutros Ghali puntò il dito contro Israele, beccandosi critiche a non finire.

Naturalmente è stato un "errore". Ma chi ci crede? Non certo il comandante di Unifil generale Alain Pellegrino, che è infuriato. E neanche Annan, che dichiara: "Questo attacco coordinato, aereo e d'artiglieria, sul posto Onu di Khyam, che è da tempo lì ed è chiaramente identificato, è avvenuto nonostante le assicurazioni personali del primo ministro israeliano Ehud Olmert che le postazioni Onu non sarebbero state attaccate dal fuoco isreliano".

A chi giova? Da premettere che tra i falchi israeliani non verranno versate troppe lacrime. L'Unifil lì ha spesso denunciato abusi di ogni tipo contro civili anche da parte delle forze israeliane. E probabilmente non c'è molta voglia da parte israeliana di avere lì una forza guidata dal Palazzo di Vetro. L'attacco "accidentale" di ieri, alla vigilia della Conferenza di Roma, sembra essere un messaggio a chi deve capire: niente caschi blu!

D'altro canto, a parole, Tel Aviv ha accettato l'idea di una forza d'interposizione internazionale. Con l'attacco di ieri raggiunge l'obiettivo, da un lato, che la forza non debba dipendere dal Consiglio di sicurezza Onu, che spesso ha emesso nei suoi confronti risoluzioni negative. Dall'altro lato pone un'ipoteca sulla voglia di chicchessia di far parte di quel contingente. Già i candidati non è che si sprechino, come ha raccontato magistralmente oggi Bernardo Valli su Repubblica.

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sabato, luglio 22, 2006

E se la guerra fosse iniziata per errore?

Mantenendo sempre una precisa linea di dubbio, marcopolo oggi racconta un'altra possibile versione sulla genesi del nuovo conflitto israelo-libanese. Anche in questo caso, sottolinea che tutte le considerazioni e notizie che riporta, sono da prendere con le molle. L'inquinamento dell'informazione è una precisa strategia militare che tutte le parti in causa praticano quando c'è un conflitto in atto. In questa jungla, marcopolo preferisce districarsi fornendo una pluralità di posizioni, dalla cui sintesi alla fine potrebbe anche emergere qualche elemento di verità. Da questo post, inoltre, marcopolo intende fornire anche una documentazine fotografica delle sofferenze che la popolazione civile sta soffrendo in Libano e anche in Israele. Questo perche' le considerazioni politiche che intende fare nei testi non devono mai far dimenticare che, dietro, ci sono enormi sofferenze di chi non ha colpa alcuna. Alcune delle immagini (quelle di oggi sono libanesi) sono raccapriccianti. Marcopolo si scusa se la sensibilità di qualcuno dei pochi navigatori che leggono queste righe dovesse esserne urtata, ma la guerra è raccapricciante.

Questa settimana l'Economist ha definito "accidentale" il conflitto scoppiato da una decina di giorni fa. Questa versione dei fatti contrasta con le dichiarazioni israeliane, che vorrebbero lo scontro fomentato dall'Iran per cercare di distogliere l'attenzione internazionale dalla questione del programma nucleare di Teheran proprio alla vigilia del G8 di San Pietroburgo. Versione che abbiamo peraltro già riportato nel precedente post.

L'Economist sostiene che lo sconfinamento delle milizie sciite Hezbollah il 12 luglio scorso, con il raid che ha ucciso alcuni militari dello Stato ebraico e ha portato alla cattura di due soldati, è stato un errore di calcolo del leader hezbollah Hassan Nasrallah. Non era la prima volta che il capo del Partito di Dio ordinava raid simili, avvenuti anche quando in Israele governavano Ehud Barak e Ariel Sharon. In quei casi la risposta degli israeliani era stata sostanzialmente moderata. Perche' questa volta Israele ha deciso di reagire dando inizio a una vera e propria guerra? Il motivo risiederebbe nella debolezza intrinseca del governo guidato da Ehud Olmert. Diversamente dai Barak e dagli Sharon, Olmert non è un eroe di guerra. Dopo il rapimento del soldato a Gaza in un'operazione simile pochi giorni prima, in seguito in entrambi i casi a ritiri militari israeliani, il governo non avrebbe potuto resistere agli attacchi della destra interna, aprendo una fase di pericolosissima instabilità.

E' una spiegazione lineare. Ora il punto è che i conflitti sono incendi che, una volta deflagrati, è difficilissimo estinguere. L'Iran, armando e rafforzando gli Hezbollah, ha messo una vera e propria spina nel fianco di Israele in questi anni. Nessuno degli stati arabi e islamici che circondano Israele ha la capacità di colpire in profondità lo Stato ebraico quanto questo gruppo non statale sciita. Questo vuol dire che Olmert si deve porre l'obiettivo di distruggere per sempre la capacità militare degli Hezbollah. E qui entra in gioco il grave problema della fluidità della sfida terroristica, che rende difficile la riuscita di una risposta militare classica come quella che sta mettendo in atto Israele. Su questo tema delle minacce non statuali alla sicurezza globale, marcopolo tornerà. Intanto, facciamo alcune considerazioni:

1) Per mettere fuori gioco gli Hezbollah, Israele deve riuscire a neutralizzare circa 12mila razzi hezbollah (è una stima al ribasso che circola su diversi media internazionali). Se non vuole farli esaurire per utilizzo (nel senso di farglieli usare, facendoli piovere sul proprio territorio...), deve distruggere i depositi. Ma dove sono questi depositi? E' facile immaginare che gli Hezbollah li tengano in zone fittamente abitate, forse i villaggi libanesi lungo il confine. Questo perche' le vittime civili delegittimano gli attacchi israeliani e proteggono le preziose armi come "scudi umani". In questo senso, la strage è assicurata.

2) Tel Aviv deve riuscire a decapitare gli Hezbollah, uccidendone la dirigenza. Ci sta provando ma, come dimostrano le immagini televisive viste in questi giorni, i bunker dove si nascondono Nasrallah e i suoi assistenti, sono nei quartieri meridionali di Beirut. Cioè in piena città, per gli stessi motivi di cui sopra...e con le stesse conseguenze.

3) Ammesso che questi due obiettivi strategici vengano centrati, poi Israele deve impedire che gli Hezbollah si riorganizzino e si riarmino. Questo vuol dire tagliare i collegamenti con Teheran. Per farlo, dovrà sterilizzare i collegamenti del Libano col resto del mondo: è ipotizzabile?

Insomma, quale che sia la posizione di ognuno, per qualunque delle parti in causa si "tifi", bisogna mettersi in testa che questa guerra va fermata a tutti i costi: non è ipotizzabile che nel medio e lungo periodo ci siano vincitori. Anche perche' ci sono già segnali pericolosissimi di allargamento del conflitto. Secondo il sito Debkafile, legato ai servizi israeliani, il comando militare delle operazioni hezbollah in Libano è stato assunto dal comandante delle Guardie della rivoluzione (Pasdaran) iraniane brigadier generale Yahya Rahim Safavi e il presidente siriano Bashar Assad ha già messo in allerta le sue forze armate dal 20 luglio, perche' teme operazioni militari israeliane contro sue postazioni, per riuscire a bloccare il flusso di armi iraniane agli Hezbollah. Mai come questa volta, fermare la guerra deve essere non solo un'affermazione di principio, ma un preciso obiettivo strategico.

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giovedì, luglio 20, 2006

Il ruolo dell'Iran nel conflitto

Allora, prima di tutto, marcopolo mette le manone avanti. Quando si scrive di queste cose (Iraq docet), non si è mai certi di niente: non si sa mai se si sta accedendo a informazione, controinformazione o disinformazione. Quindi, oggi raccontiamo questa ricostruzione dell'origine del nuovo conflitto israelo-libanese preavvertendo che è UNA ricostruzione. La certezza che sia realistica o falsa il tempo, o forse neanche il tempo, ce la darà.

Protagonista della storia è il carismatico leader delle milizie sciite libanesi Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo la rivista Intelligence Online, di solito ben informata, Nasrallah il 4 luglio scorso si è recato a Damasco, la capitale della Siria, con la scusa d'incontrare il nipote del defunto ayatollah Ruhollah Khomeini. Scopo del viaggio era tutt'altro: prendere ordini per realizzare un piano pensato a Teheran con il benestare di Damasco.

Nasrallah sarebbe andato nella capitale siriana accompagnato dal suo numero due, Hassan Khalil. Nell'ambasciata iraniana avrebbe incontrato il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza iraniano Ali Larijani, conosciuto anche come negoziatore nella crisi nucleare iraniana, e altri importanti esponenti militari e dei Pasdaran. In quell'occasione il leader degli Hezbollah avrebbe avuto il preciso ordine di rapire i soldati israeliani, com'è accaduto poi il 12 luglio scorso. L'ordine, in un secondo momento, avrebbe ricevuto anche l'avallo del presidente siriano Bashar Assad.

Da un punto di vista operativo, Teheran avrebbe immediatamente fornito alle milizie sciite libanesi 250 esperti di missili dell'esercito iraniano e un migliaio di Pasdaran in vista dell'attacco.

Su questa versione marcopolo vuole fare alcune considerazioni:

1) Se fosse vera, sarebbe facilmente ipotizzabile che il rapimento del soldato israeliano a Gaza da parte di uomini di Hamas ha un'origine eterodiretta molto simile;
2) Questa versione rafforza le affermazioni israeliane, secondo le quali l'operazione sarebbe stata voluta dall'Iran per sviare l'attenzione dalla questione nucleare;
3) La versione potrebbe essere anche originata da servizi o fonti israeliane o di altra natura, per carità. Comunque accredita l'idea che Iran e Israele si stanno confrontando come potenze regionali e che questo in corso è solo un episodio di un conflitto che sarà ben più lungo;
4) C'è tuttavia un'altra considerazione che è stata fatta da Debkafile, un sito internet considerato vicino ai servizi dello Stato ebraico: è in corso una partita di poker tra Washington e Teheran che passa sulle teste di Israele e Libano.

Insomma, tutto ci fa comprendere come qua la questione è ben più grossa sia dell'eliminazione degli Hezbollah o della caduta in Palestina del governo di Hamas, sia dei razzi katyusha lanciati sulle città israeliane.

Infine due notizie di cronaca. La prima riguarda le operazioni militari di terra in Libano, che secondo Debka sarebbero ben più estese di quanto ufficialmente Israele non ammetta. La seconda viene dalle forze israeliane, secondo le quali i razzi lanciati dagli Hezbollah avrebbero superato quota 1.600, pari al 50 per cento della forza di fuoco stimata della milizia sciita libanese.

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mercoledì, luglio 19, 2006

Iniziata un'altra fase della guerra in Medio Oriente

L'incendio mediorientale continua a proporre fiammate sempre più intense e deflagranti. Si gioca sul filo di un conflitto che, in futuro, può avere connotati apocalittici. Una potenza nucleare (Israele) si confronto con una futura potenza nucleare (Iran) sullo scenario di una regione in piena e indiscutibile guerra.

Marcopolo, dopo una breve pausa, intende tornare sull'onda del ragionamento in quel Medio Oriente che affolla i nostri notiziari. I fatti sono noti: Israele ha lanciato un'operazione militare a Gaza, dove ha anche arrestato ministri del nuovo governo palestinese di Hamas, e in Libano dopo una serie di rapimenti di soldati. In risposta il movimento sciita libanese Hezbollah ha iniziato un fitto lancio di razzi sulle città israeliane più vicine al confine.

Il balletto di accuse e controaccuse rende ancora impossibile connotare un quadro delle responsabilità. La provocazione di Hezbollah e dei militanti palestinesi c'è stata. La risposta a suon di bombe su Beirut e il Libano e di operazioni violentissime a Gaza pure. L'Unione Europea, e l'Italia finalmente allineata alla posizione europea, hanno definito gli attacchi israeliani "sproporzionati".

Secondo marcopolo, in questa fase, appare cruciale capire quali sono i motivi profondi, al di là del rapimento di tre militari, che dirigono questa fase politica. Secondo l'accusa israeliana, condivisa anche dai paesi occidentali e da molti analisti, dietro Hezbollah e il suo leader Nasrallah c'è la potenza sciita iraniana e la Siria baathista, da tempo alleata di Teheran. Un'accusa partita da analisti israeliani è che Teheran avrebbe ordinato le provocazioni anti-israeliane per distrarre la comunità internazionale dai suoi sforzi di dotarsi dell'arma nucleare. Se così fosse, vorrebbe dire che gli israeliani hanno abboccato al giochino, visto che effettivamente oggi si parla di Libano e Gaza, non più delle bombe di Teheran.

Marcopolo invece la pensa diversamente. Intanto, che Hezbollah sia un fantoccio nelle mani degli iraniani o anche dei siriani (sunniti!), non è affatto detto. La questione appare più complessa. Ma l'impressione di chi scrive è che in realtà l'obiettivo che Israele persegue è un po' diverso. Tel Aviv si sente in guerra e in effetti lo è da sempre. Sembrerebbe quasi che, di fronte al montare della potenza regionale sciita iraniana (aiutato anche dallo sciagurato intervento americano in Iraq), Israele abbia colto l'occasione delle provocazioni per cercare di disarmare gli Hezbollah che, coi loro razzi, in caso di guerra con l'Iran (considerata da molti settori israeliani come inevitabile da qui a pochi anni), aprirebbero un fronte pericolosissimo per lo Stato ebraico.

In questo scenario, fa paura l'inettitudine politica che stanno dimostrando gli Stati Uniti. Sono passati dall'inquietante interventismo del post-11 settembre, culminato nella fallita politica rispetto all'Iraq, a un senso d'impotenza che impedisce loro anche di porre un freno a un alleato in gran parte dipendente dai loro aiuti militari ed economici.

Sotto questo punto di vista, sarebbe ora che l'Europa battesse un colpo. Magari operando di concerto con la Russia di Vladimir Putin che, da quelle parti, ha ancora una qualche voce in capitolo.

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mercoledì, aprile 26, 2006

Colpiscono il Cairo, ma puntano a Gerusalemme


Piccola aggiunta a quanto scritto su Osama e sul tentativo di al Qaida d'inserirsi nelle dinamiche politiche della questione palestinese. Gli attentati dell'altroieri e di oggi in Egitto, secondo diversi osservatori, nonche' la chiave di lettura del video del tagliagole giordano Abu Musab al Zarqawi, trasmesso ieri, s'inseriscono nella stessa logica.

Guido Olimpio sul Corriere della Sera oggi sottolinea come il n. 2 di al Qaida Ayman al Zawahiri (egiziano ed ex esponente della Fratellanza islamica) abbia detto già nel 2001 che "la via per liberare Gerusalemme passa dalla liberazione del Cairo". Così, è lo stesso al Zawahiri a innescare nel 2004 i kamikaze che colpiscono a Taba (dove, ricordo, morirono anche due ragazze italiane). La strage di Dahab, come quella di Sharm el Sheikh e quella di Taba, s'inserirebbero insomma nelle dinamiche del conflitto israelo-palestinese. E tenderebbero a delegittimare la scelta "elettorale" del gruppo estremista Hamas in Palestina, ma anche della Fratellanza in Egitto.

Qui, un piccolo inciso. L'autocrate corrotto Hosni Mubarak aveva promesso riforme prima di essere rieletto presidente. Le riforme non si sono viste, anzi. Il leader democratico Ayman Nour è stato sbattuto in galera con una scusa futile (falsificazione della documentazione elettorale...pare che sia di moda creare casi del genere, vedi caso che coinvolge Storace in Italia). La mossa ha lo scopo di spianare la strada al figlio dell'autocrate, Gamal. E, intanto, la cricca Mubarak continua a fare soldi sui resort turistici del mar Rosso. C'è da chiedersi perche' la nostra industria turistica, in barba al potenziale di rischio che c'è nell'andare in quelle zone, continui a mandarvi turisti.

Ma torniamo ai nostri terroristi. Anche al Zarqawi, mente certo meno fina di al Zawahiri, ha espresso concetti simili a quelli del numero due del brand terroristico. "O cara nazione islamica, noi facciamo come il Profeta, combattiamo in Iraq ma abbiamo sempre in mente Gerusalemme", ha detto il tagliagole.

Fatte queste considerazioni si pone un problema anche per noi occidentali. Bin Laden e Zawahiri hanno sempre condannato, scrive Olimpio, la scelta di Hamas di limitare la loro strategia kamikaze a Israele e di non esportare gli attentati all'estero, nelle località turistiche, contro gli israeliani in particolare. Da questo punto di vista, la divergenza strategica è pericolosa. Se, infatti, il primo ministro designato da Hamas, Haniyeh, si è affrettato a definire "un crimine odioso" l'attentato di Dahab non è perche' sia diventato buono, ma perche' teme che il messaggio di al Qaida e del salafismo più estremo possa attecchire nelle masse diseredate di Gaza, scavando il terreno sotto i piedi di Hamas stessa. In questo senso, c'è da chiedersi se, piuttosto che la strategia di chiusura e di stop agli aiuti decisa da Stati Uniti e Unione Europea, non sia più "efficace" la politica di dialogo con Hamas scelta da Russia e Cina. Sia chiaro: "efficace non vuol dire "eticamente giusta", ma talvolta anche Machiavelli può esser messo al servizio di un mondo meno pericoloso.

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venerdì, aprile 21, 2006

Risiko nucleare in Medio Oriente


Finora si è parlato di quel che accade "in" Iran. MarcoPolo, invece, vuole buttare un fascio di luce su cosa accade "attorno" all'Iran. Che tipo di reazione, cioè, potrebbe provocare un'eventuale ingresso di Teheran nel club atomico in paesi arabi vicini, in particolare in quelli dalla collocazione più ambigua. Per esempio: l'Arabia Saudita.

C'è un tam tam in corso in certa pubblicistica vicina ai servizi d'intelligence (in particolare, francesi...). Le notizie che MarcoPolo riporta oggi sono tratte proprio da quella pubblicistica.

Diplomatici e ambienti militari delle monarchie del Golfo, da sempre nemiche strategiche regionali di Teheran, considerano un'azione militare americana contro le cinque strutture nucleari iraniane come ineluttabile. Alcune fonti ritengono che l'attacco (Usa, o coordinato Usa-Israele) avverrà entro la fine dell'anno. Quindi, si pongono un problema: è pensabile che l'Iran non consideri obiettivo le vulnerabili strutture petrolifere di questi paesi? No, non è possibile e lo scenario in quel caso è da incubo.

Riyadh non ha alcuna intenzione di restare vulnerabile rispetto alla potenza regionale sciita. In questo quadro si pone una visita compiuta la settimana scorsa da Sultan bin Abdulaziz, principe della corona saudita e ministro della Difesa, in Pakistan. Lì ha incontrato il presidente Pervez Musharraf, il ministro della Difesa Raw Iskandar, il capo dell'Isi (il servizio segreto che ha "creato" i talebani) Ashfaq Pervez Kiani e il capo dell'antiterrorismo dell'Isi Mohammad Zaki. Piatto forte del programma pachistano di Sultan: una bella gita a Kahuta, dove ci sono i laboratori di ricerca dove vengono sviluppate le bombe atomiche pachistane. Non è il primo approccio di questo tipo da parte di Riyadh. Nell'ottobre 2004 il figlio di Sultan, Khaled, fece visita ai laboratori creati dallo scienziato Abdul Qhader Khan, la cui figura è nota alle cronache per essere un noto "proliferatore" di tecnologia nucleare.

Durante la visita a Kahuta, Sultan ha chiacchierato amabilmente con l'ex capo dei laboratori Javed Arshad Mirza, per dirgli che l'Arabia Saudita ritiene necessario migliorare le competenze dei propri fisici in vista dello sviluppo di un programma nucleare che preveda anche la produzione di urano arricchito. Ovviamente, a "uso civile"...almeno quanto quello di Teheran, è lecito sospettare.

Perche' tutto questo attivismo proliferatorio da parte di Riyadh? La pubblicistica dell'intelligence ha una risposta. Al Direttorato generale saudita dell'intelligence sarebbero arrivati rapporti sempre più allarmati dalle "antenne" di Teheran in merito a un'accelerazione senza precedenti del programma nucleare iraniano da quando i Pasdaran (le Guardie rivoluzionarie, la frangia più estrema del movimento khomeinista, di cui il presidente Mahmoud Ahmadinejad è un rappresentante) sono saliti al potere. In seguito a questi allarmi, il re saudita Abdallah bin Abdulaziz avrebbe chiesto a Sultan di prendere le "opportune contromisure". E, in una visita ufficiale a febbraio a Islamabad, il re personalmente avrebbe posto le basi per la cooperazione nucleare. A Sultan e al figlio sarebbe stata affidata la parte tecnica della realizzazione del progetto.

Ma i guai non finiscono qui. Ai sauditi non basta il sostegno tecnico pachistano. E così si sarebbero anche rivolti all'Egitto. Regolarmente scienziati egiziani si recherebbero in territorio saudita per fornire i propri servigi. In cambio l'uomo forte del Cairo, Hosni Mubarak, spera di poter far risorgere dalle sue ceneri il programma nucleare militare egiziano, con denari sonanti sauditi.

Le mosse di Riyadh, inoltre, si basano anche sull'assunto che la dinastia saudita non si sente più troppo a proprio agio nelle vesti di chi dipende in tutto e per tutto, sul fronte della sicurezza, dagli Stati Uniti. Ai sauditi non dispiacerebbe dislocare un po' di missili pachistani sul proprio territorio, in particolare i Ghauri Hatf-5 (variante dei Nodong nordocoreani), che hanno una gittata di 1.000 km, ottimi per una risposta a eventuali attacchi alle strutture petrolifere da parte dei missili iraniani Shahab-4. D'altro canto, il Pakistan non disdegnerebbe di mostrare a Washington una capacità propria, visto anche il riavvicinamento che George W. Bush ha avuto col nemico storico di Islamabad, l'India.

Quale che sia il livello di certezza di queste notizie, un fatto è certo: la partita non riguarda solo l'Iran.

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