venerdì, maggio 05, 2006

Attacco a italiani: cosa succede in Afghanistan?


Hanno colpito ancora. Due soldati italiani sono rimasti uccisi a bordo di un blindato Puma in Afghanistan, lungo una strada a sud di Kabul nota per essere particolarmente pericolosa. Mentre marcopolo scrive queste brevi considerazioni, gli scorre davanti il solito patetico flusso di dichiarazioni stereotipate da parte di politici, politicanti e mezzetacche che, con accenti un po' necrofili, cercano di trarre vantaggio dalle disgrazie nazionali.

E' amaro dover registrare queste altre vittime. Proprio per ricordarle degnamente, marcopolo non può fare altro che il suo lavoro: ragionare su quel che sta accadendo in Afghanistan.

Ricordate? Ne abbiamo parlato a marzo. Oggi cerchiamo di fare un attimo il punto della situazione, di capire qual è il quadro in cui si incastona questo attacco. Già si fanno ipotesi. Una di queste, che sarebbe avallata anche da un rapporto del Sismi di cui hanno parlato diversi media, vorrebbe l'attacco afgano come l'ennesimo colpo all'Italia in un momento interlocutorio dal punto di vista politico, di passaggio di consegne da una maggioranza all'altra, per cercare di far ritirare le nostre forze dai diversi teatri. Certo, il Sismi è una voce che spesso si leva per incidere sulle nostre politiche, piuttosto che per informare i policymaker, secondo quanto affermano Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo nel loro Il mercato della paura.

Il quadro della situazione può dare tuttavia alcune risposte non necessariamente convergenti all'ipotesi dell'atacco mirato. Intanto poniamo un dubbio: chi l'ha detto che l'obiettivo fossero gli italiani e non semplicemente le forze della Coalizione, che non necessariamente agli occhi di un afgano o un pachistano sono così facilmente distinguibili.

Nel mondo dei juhadisti - scrive in un articolo apparso oggi su Asia Times un giornalista pachistano con ottimi agganci, Syed Saleem Shahzad - sono convinti che entro la fine dell'anno il mullah Omar (nella foto di mezzo), il leader dei talebani, sarà di nuovo al potere a Kabul. Un'idea probabilmente prpagandistica, ma è innegabile che i jihadisti soo di nuovo all'attacco.

Al Qaeda, in particolare, dopo quasi cinque anni in ritirata, sembra aver ritrovato un certo attivismo. Secondo Shahzad la leadership del gruppo avrebbe avrebbe attivato i "volontari" kamikaze pachistani per andare a colpire dentro e fuori dall'Afghanistan. I recenti messaggi del numero due del brand terrorista Ayman al Zawahiri e dello stesso Osama Bin Laden sembrano essere una specie di chiamata a raccolta. E' come se volessero dire che al Qaeda è ancora viva e attiva.

Ma la chiave di questo nuovo attivismo terrorista va cercata in Pakistan più ancora che in Afghanistan. Non è un caso che gli aspiranti kamikaze arrestati nel fallito attentato di Kandahar, poco tempo fa, fossero provenienti da Karachi via Quetta: si tratta di due città dove ci sono sperimentate reti jihadiste e dove sono stati arrestati importanti esponenti di al Qaeda che lì erano di casa.

Il "safe heaven" di talebani e al Qaeda al momento sembra essere il Waziristan settentrionale, in territorio pachistano, che ormai è conosciuto come "Stato islamico del Waziristan". Da lì partono incursioni e attacchi contro il debole potere afgano, nella cornice dell'ormai classica offensiva di primavera, che quest'anno sembra particolarmente incisiva. Ma si sviluppa anche una strategia d'indebolimento del generale-presidente Pervez Musharraf in Pakistan, indicato da al Zawahiri come un traditore corrotto. Al Qaeda e i talebani, insomma, non hanno affatto perso la capacità operativa di sviluppare una strategia complessa, militare e politica, in grado di mettere in difficoltà gli americani che, a questo punto, potrebbero agire col pugno di ferro, correndo il rischio di fare molte vittime civili.

Qualcuno dovrebbe chiedersi se, anche nel caso dell'Afghanistan come in quello dell'Iraq, non sia stato troppo precipitoso a decretare una vittoria che al momento ancora non è assicurata.

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