domenica, marzo 26, 2006

Abdul e la parabola dell'Afghanistan


Proviamo a chiederci: cosa scriveranno gli storici tra cento anni sui giorni che stiamo vivendo da quel fatale 11 settembre 2001? Parleranno di una nuova "crociata", come si fece scappare il presidente degli Stati Uniti George W. Bush subito dopo gli attentati di New York e Washington, oppure di una serie di conflitti per il controllo delle risorse energetiche? E la guerra in Afghanistan, scoppiata apparentemente come conseguenza diretta di quegli attentati, verrà raccontata come il primo atto della Guerra Globale al Terrorismo o come una delle tante guerricciole per il controllo della Via del Gas, come un tempo si guerreggiava per il controllo della Via della Seta o per la Via delle Spezie?

Idealità e interessi si sono intrecciati in questo lustro di guerre. Ma, forse, più ancora che il conflitto in Iraq, è quello in Afghanistan che rende indivisibile il conflitto di civiltà da quello per il controllo delle risorse (nella vicenda afgana, in verità, per il controllo delle vie percorse dalle risorse).

A cinque anni dall'azione quasi-lampo Usa, dalla fuga in motocicletta del mullah Omar, dalla caccia a Tora Bora di Osama bin Laden, cos'è l'Afghanistan? Partiamo da una considerazione difficilmente smentibile: quella non è una terra che si controlli facilmente. E non parlo solo di morfologia. Paolo Avitabile, l'ex soldato murattiano napoletano conosciuto in quelle terre come Abu Tabela (in verità era governatore a Peshawar che ora è Pakistan...) per star sicuro di tenere sotto controllo quella gente indomabile, per la quale la vita valeva pochissimo, pare impiccasse e impalasse qualche decina di persona al giorno. Altri tempi, oggi ne' l'Isaf (la forza di stabilizzazione Nato al momento comandata dagli italiani) ne' i Prt (Team di ricostruzione provinciale) possono usare questi metodi un po' desueti.

Gli Stati Uniti hanno oltre 18mila uomini in Afghanistan. Per lo più inquadrati nell'Operazione "Enduring Freedom". Non avendo particolare fiducia negli alleati, la caccia a Osama e il tentativo (al momento per nulla riuscito, anzi la guerra si è ormai estesa alle zone tribali del Pakistan) di liberare definitivamente l'Afghanistan dai talebani era demandato a questa missione, mentre all'Isaf era lasciato il conrollo della capitale Kabul. Ma le cose stanno cambiando. Nel vertice Nato di Taormina, quello di cui tanto s'è vantato il ministro della Difesa Antonio Martino, i responsabili della difesa dei paesi Nato si sono detti d'accordo nell'integrazione delle missioni Isaf e Enduring Freedom. Questo vuol dire un rafforzamento delle forze non-Usa in Afghanistan e un allargamento dei compiti di Isaf anche al sud dell'Afghanistan.

I meno disattenti di noi hanno già drizzato le orecchie. Ebbene sì, ci siamo impegnati a dare di fatto il nostro contributo sul terreno ad azioni di combattimento. Perche' il sud dell'Afghanistan, per intenderci, non è un posto dove si portano le caramelle ai bambini. Quella zona, a ridosso della zona tribale con il Pakistan, è tuttora zona di combattimento coi talebani...E la nostra Costituzione che di fatto ci impedirebbe di partecipare a guerre, tanto che ipocritamente dobbiamo definire le nostre operazioni all'estero coi nomi più fantasiosi (operazione di polizia internazionale, missione di "pace", intervento "umanitario")? Superata dai fatti ormai. Vedrete, in questa legislatura qualcuno si alzerà e dirà che è necessario un "aggiornamento" della Carta fondamentale.

In questa cornice desolante, s'inquadra la vicenda del buon Abdul Rahman. Ormai la conoscete tutti: è il quarantunenne condannato a morte perche' si è convertito al cristianesimo. L'intervento delle cancellerie occidentali sembrava avergli salvato la vita, facendo prendere la decisione (ipocrita anch'essa) alla procura afgana di dichiarare l'uomo incapace d'intendere e di volere. Il nostro ministro degli Esteri Gianfranco Fini e il suo collega tedesco se l'erano quasi ascritta come una vittoria personale. Invece sono intervenuti due piccoli problemi, che tanto piccoli non sono. Il primo: l'uomo non vuole rigettare la sua nuova fede. Secondo: la Corte suprema ha oggi deciso che l'indagine va rifatta da capo. Il che vuol dire che l'uomo potrebbe essere rilasciato, ma anche che alla fine potrebbe essere ricondannato a morte. Dal momento, e questo è il problema vero, che in Afghanistan vengono ancora considerati legge alcuni precetti islamici. Ma non avevamo sconfitto il fondamentalismo e portato libertà e democrazia in quel martoriato paese?

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