martedì, maggio 02, 2006

Quando di libertà di stampa si muore...


Il 2005 è stato un anno nero per i giornalisti. E non parlo della classifica di Fredoom House, che anche per il 2005 ha inserito nella speciale classifca della libertà di stampa l'Italia al 79mo posto assieme al Botswana, ma per un motivo ancora più importante: è stato il più sanguinoso degli ultimi 10 anni per chi fa questo mestiere delicato e difficile.

Lo dice Reporters sans frontières nel suo usuale rapporto: nel 2005 sono stati uccisi 63 giornalisti e 5 collaboratori dei media, ne sono stati minacciati o aggrediti 1.300. E le cose non sembrano migliorare col 2006. Dall'inizio dell'anno sono stati ammazzati 16 giornalisti e 6 collaboratori. Nelle prigioni delle peggiori tirannie del globo (dalla Cina a Cuba, dall'Eritrea all'Etiopia, dall'Iran alla Birmania) sono rinchiusi 120 reporter e 56 cyberdissidenti.

La situazione peggiore la troviamo in Africa dove, scrive il rapporto, "l'impunità (per i crimini contro i giornalisti) non è una deprecabile eccezione, ma la regola". Casi esemplari sono quelli degli assassini di Norbert Zongo in Burkina Faso e di Deyda Hydara in Gambia. La repressione della libertà di stampa è normale in Eritrea, Repubblica democratica del Congo, Ruanda.

Non se la passano meglio nel continente americano. Sette giornalisti e un collaboratore dei media sono stati uccisi nel 2005. Cuba è il paese più repressivo, ma la situazione non è piacevole neanche in Colombia, Messico, Perù e Haiti. Nella parte settentrionale, invece, se la situazione è migliore, restano tuttavia problemi. Per esempio, dopo l'11 settembre è difficile per i giornalisti proteggere il loro maggiore patrimonio: le fonti. E per proteggerlo rischiano la galera.

Una situazione abbastanza simile esiste nell'Unione Europea. In Italia, Francia, Belgio e Polonia è capitato a diversi giornalisti di essere soggetti e perquisizioni e convocazioni con lo scopo di intimidirli e rivelare le fonti. Ma ci sono anche luci: molti paesi dell'Europa orientale entrati da poco nell'Ue si stanno dimostrando in pieno progresso: si tratta dei paesi baltici, della Slovacchia, della Slovenia, dell'Ungheria, della Repubblica ceca. E, in Europa, restano degli esempi brillanti, come la Finlandia, considerato il paese con le migliori condizioni per i giornalisti.

Brutta la situazione in Asia. Dal Nepal del re Gyanendra, alla Corea del Nord di Kim Jong Il, alla Cina di Hu Jintao, fare il mestiere di giornalista libero è assolutamente impossibile. Lo stesso vale per diverse ex repubbliche sovietiche, come l'Uzbekistan, la Bielorussia, l'Azerbaijan ecc. Nelle Filippine, con 7 giornalisti assassinati si raggiunge una performance negativa seconda solo a quella dell'Iraq. La Cina, poi, con le sue limitazioni all'accesso alle informazioni su internet, si conferma lo stato più "repressivo" rispetto alla libertà di coscienza.

Infine, il Medio Oriente. E' la regione che ha avuto più giornalisti morti: 27 di cui 24 nel solo Iraq. E poi i rapimenti, come quello di Florence Aubenas. Le prigioni, le torture, la chiusura dei giornali come in Iran. Insomma, davvero è "sempre meglio che lavorare"?

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