mercoledì, maggio 31, 2006

L'imperialismo culinario e gli ultrà delle balene

Se qualcuno arrivasse in Abruzzo o in Sardegna o dove vi trovate e, guardandovi schifati mentre mangiate il coniglio alla cacciatora o l'agnello arrosto o gli arrosticini di castrato, vi dicesse: "Che schifo! Ma come fai a magiare quella roba? Quelli erano animaletti così carini! Siete dei mostri d'insensibilità".

Pensateci. Potreste reagire scoppiando a ridere. Ma, se questo atteggiamento venisse dalle nazioni più potenti della Terra e queste nazioni avessero la possibilità di bloccare la macellazione dei conigli e degli agnelli, forse ridereste meno. E se, ancora, effettivamente bloccassero la produzione di carne di coniglio e agnello per vent'anni, allora forse v'incazzereste anche un po'. Bene: è quello che succede da 20 anni ai giapponesi per la carne di balena.

"Scandalo!" dirà qualche animo nobile volto da fremito ambientalista. "Non vorrai difendere il massacro delle balene?". No, non è questo il punto. L'idea di marcopolo è un'altra. Sulla questione della protezione delle balene ritiene ci mangino in troppi e, alla fin fine, questa lotta "ideologica" sui mammiferi marini spinge a uccidere più cetacei del necessario.

E' un'idea da sempre di marcopolo, ma oggi ne ha avuto una conferma leggendo un bell'articolo apparso su Japan Focus a firma David McNeill. Si tratta di un corrispondente inglese da Tokyo. McNeill racconta che, avendo avuto l'ennesima richiesta dal suo giornale di un servizio sulla caccia alle balene, è andato a raccontare la storia di un'azienda che inserisce carne di balena nel cibo per animali. Intervistando il gestore, si è reso conto di non aver a che fare con un mostro e ha fatto un pezzo in linea con quest'impresione. Ovviamente, il pezzo è stato cestinato.

"Io capisco come si sente la gente, ma onestamente non riesco a comprendere come possiate considerare le balene carine. Per me gli agnelli sono molto più carini delle balene e non mi sognerei mai di mangiarli", ha affermato il gestore dell'azienda, Kiyoshi Okawa, al giornalista. Questi, ovviamente, ha obiettato che le balene sono in via d'estinzione, diversamente dagli agnelli. La risposta di Okawa è stata anch'essa ovvia: per l'Agenzia nipponica della Pesca ci sono nei mari oltre un milione di balene di razza "minke" (quelle che pescano i giapponesi), altro che estinzione. "E io credo a loro", spiega Okawa.

Sulla popolazione delle "minke" ci sono dubbi. Gruppi ambientalisti affermano che non è vero che ci siano tutte queste balene in giro, i giapponesi (assieme a Norvegia e Islanda, altri paesi balenieri) dicono che il bando, imposto dal 1986, serve soltanto alle grandi organizzazioni ambientaliste (come Greenpeace). Fatto sta che nella prossima riunione di giugno dell'International Whaling Commission (IWC) ci saranno scintille, anche perche' i paesi balenieri sono convinti di avere il 51 per cento dei voti che, pur non bastando per eliminare il bando (ci vorrebbe il 75 per cento) porrebbe nelle loro mani un'arma notevole.

Certo, la storia sa essere davvero ironica. Nel 1854 lo statunitense commodoro Perry aprì con la forza i porti giapponesi: servivano agli americani come sosta di rifornimento per le loro baleniere. Oggi gli stessi americani nicchiano. In questo senso, l'accusa di "imperialismo culinario" che arriva da Tokyo ha sicuramente un senso. Purtroppo quest'accusa arriva da politici nazionalisti, spesso associati a un revisionismo storico e a forme revanchistiche. Ma, sulla questione delle balene, una certa presa quest'accusa ce l'ha.

"Io penso che sia possibile usare le risorse della caccia alle balene in una maniera sostenibile", ha affermato a McNeill il capo dell'Agenzia della Pesca Hideki Moronuki. "Noi - ha aggiunto - non abbiamo molto territorio, abbiamo il mare. Il Giappone ha già perso molto della sua cultura. Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno le loro risorse e noi non diciamo loro cosa mangiare".

E' un discorso così irragionevole? Il concetto di sostenibilità nell'utilizzo delle risorse, d'altronde, è utilizzato in tanti modi e spesso suona anche un po' ipocrita. Anche in questo caso, potrebbe essere così. Ma andiamo a vedere i dati reali. Il Giappone già oggi caccia circa 1.000 balene all'anno (2.000 vengono cacciate da tutti e tre i paesi balenieri messi assieme). Tante. Se ci fosse una liberalizzazione, molti ritengono che ci sarebbe un boom, ma non tutti la pensano così.

Basta avere un po' il polso della situazione per rendersene conto. La moratoria, infatti, ha coagulato un sentimento nazionalistico, pompato dai media, che è stato chiaramente sfruttato da politici di destra, come il liberaldemocratico nazionalista Shoichi Nakagawa, oggi ministro dell'Agricoltura e della Pesca, che hanno creato una vera e propria lobby. Questa lobby sostanzialmente finanzia le otto baleniere (navi per la ricerca "scientifica") che vanno a caccia delle balene nei cosiddetti "santuari" . E si tratta di fior di finanziamenti: non è che bastino poche lire. Ora, per essere chiari: già prima del 1986, anno di inizio moratoria, il consumo di carne di balena era limitato a meno dell'1 per cento della popolazione nipponica. Una nicchietta piccola piccola di mercato. Attualmente, in Giappone sono stoccate circa 5mila tonnellate di carne di balena non consumata. Se si togliesse sovrappiù di furia ideologica a questo tema, trovando forme consapevoli e di buon senso di liberalizzazione della caccia dei cetacei a uso alimentare, probabilmente non ci sarebbero neanche le condizioni di mercato per una ripresa in grande stile di quest'attività. Così, invece, sull'altare di un ambientalismo un po' talebano, vengono massacrate molte più balene.

Alcune link per capirne di più:

Commissione baleniera internazionale (International Whaling Commission)
Caccia alla balena in Giappone (Wikipedia)
Whaling Library
Environmental News Network
Daily Telegraph
Greenpeace Italia
Greenpeace International

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2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Bhe, diciamo che il punto di vista di quel gestore giapponese è un pò distorto.
Una cosa sono gli agnelli ed i capretti allevati per diventare arrosticini, un'altra cosa sono le balene. Mi spiego, il paragone poteva reggere se paragonava le balene agli stambecchi oppure ai caprioli. Da una parte vi è un animale selvatico dall'altra animali cresciuti in cattività con l'unico obiettivo di essere macellati, sono due cose diverse.
Non sto qui ora a parlare di etica dell'alimentazione. Ma per mettere sullo stesso piano gli agnelli con le balene dovrebbero iniziare ad allevare le balene, così come fanno gli spagnoli per i tonni.
Il giornalista inglese (o americano, non ricordo) penso che abbia bevuto un pò troppo sake (son sicuro che non si scrive così, pazienza).

10:50 AM  
Blogger Genji said...

Diciamo che volendo l'esempio balena-agnello non regge tantissimo. Ma devo dire che la balena sta al giapponese come il cinghiale sta all'umbro. Prova a togliere le salsiccette di cinghiale all'umbro e vedi se non s'incazza!

Per il resto, il senso è che secondo me la moratoria e la campagna ideologica di certe organizzazioni, come greenpeace, finisce per fare danni alle balene. I giapponesi non mangiano balena tutti i giorni, sono pochissimi i nipponici che se ne nutrivano ben prima della moratoria. Quindi succede che gruppi di pressione fanno campagne "scientifiche" di caccia alla balena finanziando riccamente battute di caccia costosissime che il mercato non giustificherebbe. Non credo che si possano allevare le balene, ma comunque, il mercato per iniziare un allevamento non c'è. Quindi una liberalizzazione di buon senso, limitata, probabilmente aiuterebbe. Ma è un'opinione come tante altre...

3:43 PM  

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