giovedì, marzo 30, 2006

Angelina e l'Ayatollah


A Berlino si sta giocando una grande partita. I cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna) più i padroni di casa tedeschi stanno cercando di convincere l'Iran a fermare il proprio programma di arricchimento dell'uranio, che potrebbe essere parte (anche se Teheran lo nega) di uno sforzo per dotarsi dell'arma nucleare.

Il fatto di oggi è che, per il momento, l'inviato iraniano presso l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Ali Asghar Soltanieh, ha risposto nisba: il programma non è trattabile. Quindi ora si confrontano due posizioni. Quella statunitense, sostenuta dal segretario di Stato Condoleezza Rice, vuole un'azione forte nel Consiglio di sicurezza contro Teheran: in pratica, sanzioni. I russi e i cinesi, invece, sono per azioni meno eclatanti. Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo, peraltro, mette in dubbio che esista un programma bellico iraniano. I cinesi, dal canto loro, sono molto legati da un punto di vista energetico all'Iran, quindi difficilmente peroreranno la causa delle sanzioni. La frattura c'è, è visibile. E, in questo, un Iran reso paradossalmente più potente proprio dal Grande Satana americano, il quale ha permesso a Teheran di rafforzare il suo ruolo regionale buttandogli letteralmente tra le braccia l'Iraq che fu di Saddam Hussein e che ora è dell'ayatollah Ali al Husseini al Sistani e del giovane religioso sciita Muqtada al Sadr, ci sguazza.

La questione è complessa e non ci addentreremo questa sera. Un pezzetto alla volta, MarcoPolo ne parlerà. Invece, è un altro il punto che vuole mettere in risalto, un punto che tanti commentatori nostrani ancora non sviluppano (tutti troppo distratti dalla campagna elettorale italiana?) Beh, l'argomento non piacerà. Non so se avete notato la composizione di questo meeting. Ci sono i cinque membri permanenti del consiglio E LA GERMANIA.

Molti di voi sapranno che Germania e Giappone, poi raggiunti da Brasile e India, sono stati per anni portatori di un progetto di revisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che prevedeva il loro ingresso tout-court nell'organi decisionale del Palazzo di Vetro. Ovviamente a scapito di altri paesi come l'Italia che, pur essendo contributori netti in denaro e in uomini per missioni di pace più importanti di questi quattro, avrebbe visto chiusa ogni possibilità di contare a livello internazionale.

L'Italia per anni è riuscita a coagulare consensi sufficienti a sbarrare la strada ai G4 (li chiamano così), anche grazie agli sforzi dell'ex ambasciatore Lucio Fulci. Tuttavia, negli ultimi anni, lo sforzo di questi paesi per entrare nel Consiglio di sicurezza s'è accresciuto. Gerhard Schroeder, Junichiro Koizumi, Lula e Manmohan Singh hanno portato avanti una strategia coordinata per battere le resistenze. Al momento tutto appare congelato. Non certo per merito nostro, visto che grazie a questo governo inutile contiamo meno del due di picche nella politica internazionale. Ma perche' la Cina ha sostanzialmente bloccato tutto per mettere i bastoni tra le ruote al Giappone, con cui i rapporti in questi ultimi due anni sono diventati particolarmente tesi, e anche all'India che sta diventando un pericoloso concorrente regionale e ha rapporti sempre più stretti con gli Stati Uniti.

Ora però scopriamo che la Germania non s'è fermata affatto, neanche con la fine del governo di Schroeder. E la troviamo capofila di un'iniziativa Onu in cui siede da pari a pari con le cinque potenze del Consiglio di sicurezza. L'Italia a Berlino non c'è. E dire che avrebbe avuto le sue carte da giocare. Noi siamo stati uno dei primissimi paesi ad avere relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica (ah, la politica estera di Giulio Andreotti!) e siamo tra i primissimi negli scambi commerciali con Teheran. Eppure a Berlino non ci siamo. Ne' ai nostri leader di governo è saltato in testa di promuovere una qualche iniziativa. Dormiamo. E, intanto, la cancelliera Angelina Merkel, piano piano, inserisce la Germania nelle stanze che contano.

Etichette: , , , ,

Benvenuto Abdul!


Dunque Abdul Rahman, l'afgano convertito al cristianesimo che era stato condannato a morte nel suo paese, è in Italia. Degna iniziativa del nostro paese, che ha contribuito a salvare la vita a quest'uomo. E' sempre importante quando ci muoviamo per questi principi.

Tuttavia, va sottolineato, resta un caso in cui siamo riusciti a intervenire. E va ricordato che i nostri militari, in quel paese, sostanzialmente contribuiscono al mantenimento di uno Stato che condanna a morte per motivi religiosi.

Inoltre, anche questo voglio puntualizzarlo, non è possibile che parliamo dell'Afghanistan o dell'Iraq ormai solo per "casi esemplari": il rapimenti, il bambino ferito e portato a curarsi in Italia, l'eventuale uccisione di uno o più nostri militari in teatro. Dobbiamo renderci conto che in entrambi i paesi continua un conflitto e noi ci siamo dentro. Quindi, una maggiore attenzione a quel che succede nel mondo, senza semplificazioni sceme (tipo: i cinesi bollivano i bambini) sarebbe per tutti noi doverosa.

Etichette: ,

martedì, marzo 28, 2006

Il "concime" di Pechino e il contaballe di Arcore


Non bastava il ministro dell'Economia "colbertiano", ci voleva anche il presidente del consiglio amante dello splatter cinematografico. Già l'immagine del nostro paese in Cina, il mercato a più forte crescita reale e di prospettiva al mondo, arrancava. Ma ora, proprio nell'Anno dell'Italia in Cina, possiamo dire addio per lungo tempo a un rapporto non dico d'amicizia, ma quanto meno di rispetto reciproco col paese più popoloso del mondo, la futura superpotenza (praticamente tutti gli esperti su questo concordano) mondiale.

Che è successo? Bene, il nostro Silvio da Arcore, noto gaffeur e istrione di rione, l'altro ieri s'è fatto prendere dall'entusiasmo pecoreccio d'insultare i suoi avversari politici evocando l'immagine dei "comunisti cinesi che non mangiavano i bambini, ma li bollivano per farne concime". Ha offeso un paese da un miliardo e trecento milioni di persone per rubare due voti a Gianfranco Fini e a Umberto Bossi (che' certo queste affermazioni non gli permettono di guadagnare neache un voto moderato. Ma, si sa, che il Cavaliere ormai persegue la strategia del Conte Ugolino, quello che mangiava i figli...tanto per restare nel campo delle immagini delicate).

Orbene, a quest'affermazione, la Repubblica popolare cinese ha risposto. Pur non emettendo una nota ufficiale di protesta (atto troppo duro verso il paese, in fondo se tutto va bene tra due settimane il pagliaccio di Macherio sarà passato), ha fatto trapelare "forte sdegno". Ha definito le parole di Berlusconi "prive di fondamento", e ha espresso l'auspicio che le "azioni dei dirigenti italiani possano favorire lo sviluppo e la stabilità dei rapporti bilaterali tra la Cina e l'Italia". Sottinteso: altri dirigenti, s'intende. E' chiaro: quello è un paese confuciano, in cui le parole di un leader, di un Capo di Governo vengono prese sul serio. Non è concepibile per loro un premier che fa numeri d'avanspettacolo come il Nostro.

Ovviamente il team d'insultatori di professione del Cavaliere ha risposto con disprezzo, mentre i diplomatici hanno dovuto di nuovo inghiottire un boccone amaro. Ma come fai a difendere una posizione del genere? si saranno chiesti alla Farnesina. Dove peraltro non è che il Cav sia visto troppo bene, dopo che il suo governo ha reso i fondi della diplomazia un malinconico ricordo del passato. Quest'anno un altro 40 per cento di taglio, che segue quello dell'anno precedente. E poi ci domandiamo perche' il made in Italy sparisce dai mercati mondiali.

Insomma, alla Farnesina hanno abbozzato una patetica quanto improbabile e imbarazzata difesa. Tenetevi forte...Allora i diplomatici, non sapendo comprensibilmente che pesci pigliare, hanno fatto trapelare anche loro un comunicato. Nelle dichiarazioni del presidente del Consiglio sulla Cina, afferma la nota della Farnsina, è "evidente l'inesistenza di intenti polemici nei confronti della Repubblica Popolare Cinese". Poi continua: "l'Italia mantiene solidi rapporti di collaborazione e di cooperazione in tutti i campi, anche per favorire l'affermazione e il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo". La Farnesina, ancora, rileva che il presidente Berlusconi si è "limitato a citare una frase contenuta nell'edizione italiana del 'Libro nero del comunismo' di Stephane Courtois (riportata per l'esattezza a pag.460), pubblicata nel 1998". 'Azz...che fonte storica. "La frase in questione si riferisce peraltro a episodi che avrebbero avuto luogo nel passato, come correttamente ricordato dallo stesso presidente del Consiglio, mentre è evidente
l'inesistenza di intenti polemici nei confronti della Repubblica Popolare Cinese". In passato? Quale passato? Paradossalmente, insomma, i bambini sono stati usati come concime quando si tratta di attaccare i Prodi ecc., ma non hanno intenti polemici quando si tratta di parlare di Hu Jintao, il quale in verità qualche peso sulla coscienza ce l'ha eccome. Per esempio, ha ordinato una durissima repressione in Tibet, quando era capo del partito da quelle parti.

Ma quest'ultima vicenda ci dà solo l'ennesima dimostrazione di quanto sia stata raffazzonata e dilettantesca in questi anni la politica estera italiana. A livello europeo abbiamo perso prestigio e praticamente siamo stati superati dalla Spagna come rappresentatività nelle istituzioni. Ricordiamo che la Spagna NON è un paese fondatore, noi sì. A livello globale, il nostro premier s'è fatto vedere dove si poteva far bello alle tv italiane, come dall'amico George, ma ha chirurgicamente evitato di andare in quei paesi dove i nostri imprenditori invocavano viaggi di stato di alto livello. E' il caso di quello in Giappone, dove era stata organizzato lo storico evento dell'incontro con l'Imperatore, un onore INAUDITO, che il signor Berlusconi ha disertato, ANNULLANDO IL VIAGGIO ALL'IMPROVVISO DUE GIORNI PRIMA, perche' doveva andare in Parlamento a controllare che i suoi onorevoli schiavetti mettessero il ditino al punto giusto al momento di votare la Cirielli o il Porcellum (come Calderoli, il suo estensore, ha definito l'attuale legge elettorale). In Cina, un po', ci aveva salvato San Carlo Azeglio Ciampi, dopo le cacchiate che aveva detto Tremonti sui dazi, con un viaggio di stato organizzato e realizzato ottimamente. Ma poi è arrivato lo Scemo di Arcore e siamo punto e da capo.

Etichette: ,

Abdul Rahman forse si salva, la nostra coscienza no


Abdul Rahman è stato liberato. Era un atto previsto e prevedibile. Ed era quasi un atto dovuto anche l'offerta di asilo politico che l'Italia ha fatto. Ma servirà? Intanto, non è detto che l'uomo accetti. Speriamo che lo faccia, perche' sarebbe in risultato importantissimo salvare la sua vita. Il problema resta tuttavia intatto: l'Afghanista "liberato" resta a tutt'oggi un paese in cui si applicano alcune norme ispirate al fondamentalismo islamico.

I paesi occidentali, presenti in Afghanistan con forze consistenti avrebbbero tutti gli strumenti per costringere Kabul a modificare questa normativa. Tuttavia, parliamoci chiaro, se lo facessero rischierebbero la destabilizzazione del già oltremodo instabile governo del presidente Hamid Karzai.

Dal punto di vista italiano come si può non vedere una forte contraddizione? Siamo un paese che rigetta con forza la pena di morte e le norme restrittive della libertà religiosa. Eppure, in quel paese sosteniamo un regime che fa proprio queste cose. Ce ne potremmo andare, vero, ma quale sarebbe il risultato? Senza le forze Isaf e senza Enduring Freedom, l'Afghanistan torna nelle mani dei talebani. La verità è che, quando si rompe un nido di vespe, come hanno fatto gli americani, qualche puntura alla fine la si prende...

Etichette: ,

lunedì, marzo 27, 2006

Lo sceicco del terrore e il "matto" di Kabul


Oggi il MarcoPolo voleva occuparsi di Ucraina, Bielorussia, del ruolo che sta riassumento la Russia nei paesi vicini e dipendenti dalle sue forniture di gas. Ma la cronaca l'ha sopraffatto e deve di nuovo parlare di Iraq e di Afghanistan.


Iraq

L'ennesimo attentato suicida, questa volta vicino a Mosul, ha ucciso almeno 40 iracheni, molti dei quali erano reclute dell'esercito. Altre 20 persone sono rimaste ferite. Quando MarcoPolo scrive tante di queste risultano essere in condizioni particolarmente gravi. Il bilancio, insomma, potrebbe crescere ulteriormente. E' l'attentato più sanguinoso del 2006, dopo quello che è costato la vita a 70 persone a gennaio a Ramadi.

A rivendicare l'attentato suicida è, ma queste rivendicazioni vanno sempre prese con le molle, al Qaida. "Un fratello della Penisola di Maometto (Arabia Saudita, ndr), con una cintura di esplosivi, si è lanciato questa mattina contro la base dei crociati situata a nord est della città di Taalafar, e si è infiltrato fra centinaia di reclute prima di farsi esplodere", recita il testo del comunicato. "L'operazione - aggiunge - si è risolta con centinaia di morti e feriti". Si tratta davvero dell'organizzazione di Osama Bin Laden? Di mitomani? Di realtà virtuale? Non lo sapremo mai.

Il bilancio di sangue della giornata, tuttavia, non finisce qui. Almeno 20 cadaveri sono stati ritrovati a Baghdad in due diversi punti della città. Molti avevano corde al collo, erano ammanettati e bendati. L'ennesimo caso di violenza tra sunniti e sciitimolto probabilmente.

E' sempre più una guerra di tutti contro tutti. Lo dimostra l'ultimo episodio avvenuto ieri. Le forze statunitensi, col sostegno di quelle irachene, effettuano un raid violentissimo nella moschea sciita di Mustafah, a Baghdad. Nell'operazione vengono uccise 16 persone, ma la polizia irachena dice 22. Il ministro degli Interni iracheno Bayane Jabr Soulagh definisce il raid "ingiustificato" e accusa: non è vero, come hanno detto gli americani, che le vittime sono ribelli, ma semplici fedeli in preghiera. Il governatore di Baghdad Hussein Tahan convoca una conferenza stampa e minaccia: "Prenderemo misure più decise per preservare la digntà dei cittadini iracheni".

Afghanistan

Anche di quest'altro "hot-spot" della politica mondiale c'è da parlare oggi. Una mina a Helmand, nel sud del paese, ha provocato la morte di tre persone. Quante mine ci sono in Afghanistan? Un'infinità. E' un paese che viene da 30 anni di guerra. Mine sovietiche, cinesi, italiane, americane, continuano a infestare il paese e ogni tanto ne salta una. A pagare il prezzo più elevato sono i bambini, che sono anche i più indifesi e curiosi.

Ma a dominare l'informazione su questo disgraziato paese centro-asiatico, al momento, è un'altra vicenda. Quella del cristiano convertito Abdul Rahman. In Italia ne stiamo facendo una bandiera, ha fatto un appello anche il papa Benedetto XVI. Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini giorni fa era intervenuto e aveva cantato vittoria affermando che l'uomo era ormai salvo. Cosa era accaduto? La pubblica accusa aveva decretato che Abdul è matto...Non erano stati considerati alcuni elementi: il primo, la testardaggine dell'uomo che non vuole essere considerato matto, ma rivendica la sua conversione (vocazione al martirio); il secondo, la piazza che di Abdul vuole la testa.

Dopo che ieri la Corte suprema afgana ha ordinato una nuova inchiesta (che può voler dire scarcerazione per Abdul, ma anche nuova condanna a morte), oggi centinaia di persone sono scese in piazza a Mazar-i-Sharif. Non per chiedere di salvare la vita all'apostata, ma per chiederne l'uccisione. C'è un braccio di ferro in corso, intanto, tra il governo di Hamid Karzai, il debole presidente afgano conosciuto sprezzantemente anche col nomignolo di "sindaco di Kabul", e le autorità religiose del paese. Karzai non può permettersi di avere cattiva stampa in occidente. I mullah non ci pensano neanche a farsi scappare una bella esecuzione che faccia da lezione ai eventuali anime poco accorte al Messaggio del Profeta.

Viene anche alla luce il contesto in cui è nata la vicenda. Secondo il quotidiano arabo Elaph, la conversione di Abdul è avvenuta durantre la frequentazione di un gruppo di volontari che aiutavano i profughi afgani in Pakistan e poi è stata portata a termine in Germania. L'arresto dell'uomo è avvenuto da parte degli stessi familiari che, evidentemente preoccupati che ai due figli dell'uomo fosse negato in futuro il Paradiso in seguito a un'improvvida conversione, l'hanno denunciato. Poi, quando l'uomo è stato addirittura condannato a morte, i familiari hanno testimoniato che l'uomo dava segni di squilibrio. Farlo apparire scemo: un ottimo escamotage per salvargli la pelle e rimuovere il problema. Peccato che Abdul non ci pensi nemmeno a voler passar per pazzo. E, forse, per questo lo è davvero.

Etichette: , ,

domenica, marzo 26, 2006

Abdul e la parabola dell'Afghanistan


Proviamo a chiederci: cosa scriveranno gli storici tra cento anni sui giorni che stiamo vivendo da quel fatale 11 settembre 2001? Parleranno di una nuova "crociata", come si fece scappare il presidente degli Stati Uniti George W. Bush subito dopo gli attentati di New York e Washington, oppure di una serie di conflitti per il controllo delle risorse energetiche? E la guerra in Afghanistan, scoppiata apparentemente come conseguenza diretta di quegli attentati, verrà raccontata come il primo atto della Guerra Globale al Terrorismo o come una delle tante guerricciole per il controllo della Via del Gas, come un tempo si guerreggiava per il controllo della Via della Seta o per la Via delle Spezie?

Idealità e interessi si sono intrecciati in questo lustro di guerre. Ma, forse, più ancora che il conflitto in Iraq, è quello in Afghanistan che rende indivisibile il conflitto di civiltà da quello per il controllo delle risorse (nella vicenda afgana, in verità, per il controllo delle vie percorse dalle risorse).

A cinque anni dall'azione quasi-lampo Usa, dalla fuga in motocicletta del mullah Omar, dalla caccia a Tora Bora di Osama bin Laden, cos'è l'Afghanistan? Partiamo da una considerazione difficilmente smentibile: quella non è una terra che si controlli facilmente. E non parlo solo di morfologia. Paolo Avitabile, l'ex soldato murattiano napoletano conosciuto in quelle terre come Abu Tabela (in verità era governatore a Peshawar che ora è Pakistan...) per star sicuro di tenere sotto controllo quella gente indomabile, per la quale la vita valeva pochissimo, pare impiccasse e impalasse qualche decina di persona al giorno. Altri tempi, oggi ne' l'Isaf (la forza di stabilizzazione Nato al momento comandata dagli italiani) ne' i Prt (Team di ricostruzione provinciale) possono usare questi metodi un po' desueti.

Gli Stati Uniti hanno oltre 18mila uomini in Afghanistan. Per lo più inquadrati nell'Operazione "Enduring Freedom". Non avendo particolare fiducia negli alleati, la caccia a Osama e il tentativo (al momento per nulla riuscito, anzi la guerra si è ormai estesa alle zone tribali del Pakistan) di liberare definitivamente l'Afghanistan dai talebani era demandato a questa missione, mentre all'Isaf era lasciato il conrollo della capitale Kabul. Ma le cose stanno cambiando. Nel vertice Nato di Taormina, quello di cui tanto s'è vantato il ministro della Difesa Antonio Martino, i responsabili della difesa dei paesi Nato si sono detti d'accordo nell'integrazione delle missioni Isaf e Enduring Freedom. Questo vuol dire un rafforzamento delle forze non-Usa in Afghanistan e un allargamento dei compiti di Isaf anche al sud dell'Afghanistan.

I meno disattenti di noi hanno già drizzato le orecchie. Ebbene sì, ci siamo impegnati a dare di fatto il nostro contributo sul terreno ad azioni di combattimento. Perche' il sud dell'Afghanistan, per intenderci, non è un posto dove si portano le caramelle ai bambini. Quella zona, a ridosso della zona tribale con il Pakistan, è tuttora zona di combattimento coi talebani...E la nostra Costituzione che di fatto ci impedirebbe di partecipare a guerre, tanto che ipocritamente dobbiamo definire le nostre operazioni all'estero coi nomi più fantasiosi (operazione di polizia internazionale, missione di "pace", intervento "umanitario")? Superata dai fatti ormai. Vedrete, in questa legislatura qualcuno si alzerà e dirà che è necessario un "aggiornamento" della Carta fondamentale.

In questa cornice desolante, s'inquadra la vicenda del buon Abdul Rahman. Ormai la conoscete tutti: è il quarantunenne condannato a morte perche' si è convertito al cristianesimo. L'intervento delle cancellerie occidentali sembrava avergli salvato la vita, facendo prendere la decisione (ipocrita anch'essa) alla procura afgana di dichiarare l'uomo incapace d'intendere e di volere. Il nostro ministro degli Esteri Gianfranco Fini e il suo collega tedesco se l'erano quasi ascritta come una vittoria personale. Invece sono intervenuti due piccoli problemi, che tanto piccoli non sono. Il primo: l'uomo non vuole rigettare la sua nuova fede. Secondo: la Corte suprema ha oggi deciso che l'indagine va rifatta da capo. Il che vuol dire che l'uomo potrebbe essere rilasciato, ma anche che alla fine potrebbe essere ricondannato a morte. Dal momento, e questo è il problema vero, che in Afghanistan vengono ancora considerati legge alcuni precetti islamici. Ma non avevamo sconfitto il fondamentalismo e portato libertà e democrazia in quel martoriato paese?

Etichette: ,

sabato, marzo 25, 2006

I nuovi incubi d'Iraq


"Tre anni sono passati e gli incubi dei bombardamenti, lo 'spaventa e terrorizza' si è modificato in un altro tipo di incubo. La differenza tra ora e allora è che tre anni fa noi ancora temevamo per le nostre cose materiali: le nostre proprietà, le cause, le auto, l'elettricità, l'acqua, la benzina...E' difficile definire di cosa abbiamo paura oggi. Anche il più cinico critico della guerra non avrebbe potuto immaginare le condizioni disfraziate in cui si sarebbe trovato il paese dopo la guerra... Allah yistur min il raba'a (Dio ci protegga per questo quarto anno)".
Riverbend (http://riverbendblog.blogspot.com/)

Le righe riportate sopra vengono da Baghdad. A scriverle è stato una blogger irachena che si firma Riverbend. Tre anni fa aveva inizio la guerra in Iraq. Se i nostri nonni hanno vissuto la tragedia della seconda guerra mondiale, i nostri padri quella della guerra fredda (che a volte è stata più "calda" di quanto normalmente si pensi), la nostra generazione ha come conflitto di riferimento conflitti come la guerra in Afghanistan e, ancora di più, la guerra in Iraq. Anche noi italiani abbiamo perso degli uomini lì. E, se per la maggior parte di noi, è una guerra vissuta sostanzialmente sugli schermi televisivi, per tanti italiani non è così. Migliaia d'italiani (soldati, giornalisti, cooperanti, diplomatici, uomini dell'intelligence) il "campo di battaglia" l'hanno visto.

La guerra non è finita. Anzi, nelle settimane scorse sta vivendo un'escalation. Ayad Allawi, l'ex primo ministro ad interim iracheno, nei giorni scorsi ha denunciato il fatto che ogni giorno gli iracheni contano almeno 50 morti. Secondo Iraq Body Count siamo, dall'inizio della guerra, tra i 33.773 e i 37.895 civili morti oggi. A questi, bisogna aggiungere almeno 2.482 soldati statunitensi rimasti uccisi in questo conflitto fino a oggi. Non sappiamo il numero di militari iracheni morti. Ah, ci sono anche una dozzina di soldati italiani, due civili morti a Nassiriya. Poi il bodyguard Fabrizio Quattrocchi e il giornalista freelance Enzo Baldoni, spesso dimenticato.

La situazione politica in Iraq va sempre peggio. Il primo ministro designato Ibrahim al Jaafari non riesce ancora a sbloccare le trattative per arrivare a un governo. Le elezioni politiche che dovevano segnare la svolta risalgono ormai il 15 dicembre 2005. Da allora si sono moltiplicati attentati, assassini mirati. Il conflitto strisciante tra sciiti e sunniti è diventato sempre più palese. Altrettanto evidente appare il disagio, che potrebbe presto diventare spinta secessionista, da parte dei curdi, ora alleati all'ala più secolare dei sunniti. Appare sempre più incisivo il ruolo che sta assumendo l'Iran, anche attraverso il suo appoggio a diverse componenti sciiti, che Teheran muove a seconda della bisogna. Da un lato il Consiglio superiore della rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), con le sue Brigate Badr, dall'altro l'Esercito del Mahdi, del giovane leader sciita Muqtada al Sadr, appaiono pedine che Teheran muove con una certa destrezza.

Sul fronte militare, l'addestramento del nuovo esercito iracheno sembra un'impresa sempre più improba e lontana. Le forze della Coalizione appaiono sempre meno interessate a restare. Britannici e italiani entro il 2006 dovrebbero sloggiare. Anzi, per quanto riguarda il contingente italiano, la partenza potrebbe ancora essere più accelerata a seconda di come andranno le elezioni del 9 e 10 aprile. Gli stessi americani sembrano sempre più interessati a mettere in atto una exit-strategy che li porti via dalla Mesopotamia.

Tre anni di guerra son passati. La via d'uscita non si vede ancora. Dio ci protegga per questo quarto anno...

Etichette:

giovedì, marzo 23, 2006

Granelli di realtà


Le forze statunitensi continuano a ripetere che in Iraq le cose migliorano. E, invece, le cose non stanno così. Oggi, 23 marzo 2006, a tre anni dall'inizio della guerra, almeno 56 persone sono morte o sono state trovate uccise in esecuzioni, bombe e scontri a fuoco. Non male per un paese ormai "pacificato".

Anche Francis Fukuyama, lo ricordate? era il teorico della "fine della storia", ha abbandonato il campo neo-con negli Stati Uniti. La vittoria di Hamas in Palestina, l'affermazione dei Fratelli musulmani in Egitto, la montante ondata islamista in tutto il Medio Oriente stanno dimostrando che era la democratizzazione sulla punta del fucile non funziona. Ma non perche' sia brutta la democrazia. Semplicemente perche' nelle cose del mondo non ci sono automatismi che possono essere applicati così facilmente. La realtà fugge via dalle mani, incontrollabile, sottile come sabbia del deserto.

MarcoPolo vuole raccontare questi granelli di realtà. Senza l'ambizione di parlare di tutto, senza la certezza di avere Verità in tasca. Ma partendo, questo sì, dai fatti.

Etichette: , ,